Credo sia la canzone più politcal uncorrect mai scritta in Italia. E anche cattiva, perfida, cinica. In poche parole “bastarda”. Perchè bisogna avere molto fegato per lavorare e pensare all’altra, ritornare a casa dalla tua compagna, moglie, fidanzata e pensare all’altra, anche mentre stai al telefono con la tua lei pensare all’altra (le telefono e penso a te). Quella chiede: “dove andiamo?” e lui che fa? Pensa all’altra. Anche quando sorride abbassa gli occhi e pensa all’altra. La pensa intensamente, non sa con chi è, che cosa fa (non c’erano i telefonini, WhatsApp, a quei tempi) però sa, per certo, che sta pensando a lui. Quella città immensa in mano a due persone magari fidanzati da anni con un altro lui ed un’altra lei che non sperano però si stan cercando. Lui riesce anche ad accompagnare la sua donna e pensare all’altra, capisce di non essere stato divertente quella sera perchè pensava all’altra. Poi, nel finale tutta la fantasia e l’immaginazione del mondo si prigiona: “Sono al buio e penso a te, chiudo gli occhi e penso a te, io non dormo e penso a te”, con tanto di coro finale (paraparapa papara…). L’avrò sentita migliaia di volte questa canzone scritta da Mogol e cantata da Lucio Battisti (anche la versione di Mina è bella ma non come quella di Lucio). La conosco a memoria e ogni volta non posso non pensare che per quanto possa essere la canone più cinica, perfida, cattiva che sia mai stata scritta, è probabilmente una delle più belle canzoni del duo Mogol-Battisti. Perché comunque è un grandissimo inno alla passione.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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