Succede che a Roccabarbara, uno dei tanti borghi dello sterminato Mezzogiorno d’Italia, muore un vecchio capomastro.
Succede che compaiono alcuni necrologi sui muri scorticati del paese.
Succede che un bresciano medio, ospite di uno dei sette B&B di Roccabarbara, incuriosito dalle pieghe così diverse che l’umanità prende in quelle contrade, si sofferma davanti al necrologio commissionato dai familiari più stretti. E ci legge: la moglie, la figlia Marina con Alberto, i figli, le nuore, gli amati nipoti ed i parenti tutti, partecipano ai loro compaesani la scomparsa di Donato Miglio, padre e marito adorato, tornato alla casa del Padre all’età di 87 anni. Eccetera.
Succede che nonostante sia appena il 25 di Marzo, a Roccabarbara il sole abbia già preso a fare i doppi turni, gonfiando velocemente i ricettacoli sugli alberi da frutto, i cui rami di lì a poche settimane inizieranno a spiovere verso la terra polverosa e bruciata dell’altopiano.
Sono le 12.30. Il ristorante non è ancora aperto. La signora Moretti è rimasta al B&B per alcune questioni da sbrigare al telefono, e il Sig. Moretti, in giro dalle 9.00, è già entrato e uscito dal paese sei o sette volte, raggiungendo ogni volta un diverso affaccio sulle campagne dintorno, che già sanno di grilli e cicale impegnati a frinire a milioni, anche se forse è solo un’immagine che il signor Moretti ha ripescato da chissà quale strato della sua memoria antica; perché di grilli e cicale, ancora, a Roccabarbara, neanche l’ombra. Eppure fa un discreto caldo. Allora il Signor Moretti entra in uno dei ventidue bar di Roccabarbara, l’Oreste’s Bar, guadagna un tavolino dove sta posata una copia del quotidiano locale, si accomoda e ordina una birra.
Il barista sa quello che c’è da sapere, sul suo cliente, perché vive nella casa di fronte al B&B dove alloggiano i Moretti. Un saluto, uno scambio di battute, una ciotola di arachidi e anacardi salati, e la 0.40 è servita.
Accanto al tavolino del Moretti, un poker di anziani discute, mezzo in italiano mezzo in dialetto, di delicate questioni paesane:
“Alla fine hanno messo anche il compagno nel manifesto, come si chiama, Alberto”
“Si, ho visto, e hanno scritto Marina e Alberto”
“E cosa dovevano scrivere?” incalza uno col sigaro.
“Ah no, certo” sfumano gli altri, finché i pensieri del Moretti non tornano alla luce là fuori, che scolorisce i muri di Roccabarbara, seccando la colla dei manifesti appena stesi sui polverosi muri del borgo.
E quel necrologio gli torna tutto negli occhi, al Moretti, con quel Cristo coi raggi che gli partono dalle mani e le nuvole ripiene di angeli con spade, trombe, fiori, libri… “…o era il quadro del museo diocesano…?”. Moretti non ricorda, ma al di là dei fondali da giudizio universale e dei loro dettagli, a lui torna in mente soprattutto l’elenco dei parenti del capomastro: la moglie, la figlia Marina con Alberto, i figli, i nipoti adorati… la figlia Marina.. i figli.
“È possibile averne un’altra?” il barista raggiunge il tavolino, gli ritira il boccale e la ciotola in terracotta smaltata su cui è rimasto un fondo di sale e se ne torna dietro il bancone. Un minuto e il Moretti è servito di nuovo. “Mi scusi” lo aggancia allora il bresciano, cercando le parole perché in realtà non ha ancora ben chiaro da che parte iniziare. “Eccomi” fa il barista “la birra non è fresca?” “Buonissima, per carità. No, le volevo chiedere… una curiosità, sa… ho visto che qui da voi avete questi manifesti funebri molto grandi, molto… curati, ecco…” il barista lo guarda, aspettando di capire dove voglia arrivare; “dalle nostre parti, sa, io sono del bresciano, si usano poco e sono molto piccoli. I vostri ricordano dei quadri, i nostri somigliano più a dei volantini”.
“Si – risponde il barista – ho visto anche io che su da voi, lì, a Como, dove sta mia sorella, c’è questa usanza. E che ci vuole fare? Qui ci piace raccontare, un po’ anche teatrare; a voi invece piace fare in fretta e in silenzio”.
“Mi scusi – lo interompe Moretti- non volevo offendere, sia chiaro; è bello… insomma… non c’è niente di male a fare come fate voi…” e sente il vicolo in cui si stava infilando farsi sempre più stretto, come capita se entri in un vicolo sconosciuto con il SUV, che ci resti incastrato. Ma il barista gli viene in aiuto: “Ci mancherebbe capo, ho inteso bene; voi siete rimasto colpito dai nostri manifesti, ma mica mi sono offeso, neanche loro si sono offesi –e indica i quattro vecchi al tavolo, che hanno seguito tutto come critici d’arte a una mostra: “Vi siete offesi?”; le smorfie convinte con cui quelli negano di essersi offesi, sono da Natale in Casa Cupiello, pensa Moretti. “Ma a quale manifesto vi riferite?” seguitò quello, che ormai è più curioso del nordico. “A quello del Capomastro, la buonanima”. Gli viene incontro solo quel termine, la buonanima. È in cerca di un visto per l’argomento in cui si è invischiato, Moretti, e buonanima gli sembra, lì per lì, un discreto lasciapassare. Mica lo sa Moretti se quel Donato avesse l’anima buona o malvagia; gli basta far capire che rispetta i morti di Roccabarbara, cosicché i vivi capiscano che rispetta anche loro.
“Buonanima sì” ripiglia quello. “Era un brav’uomo. E sicuramente ha dato alla vita più di quello che ha avuto”.
“Mi dispiace. Non stava bene?”. Percepisce la sottile idiozia della domanda solo dopo averla completata. Quell’altro fa il caritatevole e aggiusta la risposta: “No, non per quello. Sa, come dire, qualche questione privata…delicata”. Moretti capisce di essere arrivato in fondo al vicolo. Ormai non può andare avanti né tornare indietro. Gli resta giusto la spazio per uscire dal finestrino del SUV e cercare un carroattrezzi. Ma il carroattrezzi è lì, seduto al tavolino accanto al suo, con un sigaro che rimbalza dalla bocca alla mano col bicchiere, mentre l’altra regge le carte: “Ha fatto tutto la mamma. La moglie del capomastro, per capirci… signor?” “Moretti, molto piacere”. “Ha fatto tutto Anna. L’anima buona era quella di Donato, perché lo era, ma l’anima forte era quella di Anna”.
Il barista allora lascia la palla all’uomo col sigaro, e si mette in una zona del campo a guardare l’azione. Moretti è un mangianastri acceso con i tasti “Play” e “Record” premuti insieme: “Quel ragazzo, Marina, per capirci, anche se era nato che pareva maschio, era femmina. Era proprio femmina dentro, non so come dire. E non c’era verso. All’inizio erano colpi, botte di tutti i tipi. Donato non lo poteva sopportare, ci stava morendo dietro. E il paese all’inizio non ha fatto nulla di nulla per andare incontro. Fino a quel giorno che Anna si è alzata dalla sedia, ha preso un coltello, lo ha messo davanti al naso del marito e gli ha detto: o ci ammazzi tutti e due, o io ammazzo te, ma questa cosa deve finire così. Basta!”. E la cosa finì veramente così. Marino sparì per qualche tempo, tornava in paese d’estate, neanche sempre. Poi iniziò a rivedersi per qualche Natale, poi per qualche festa di quelle che non stanno manco in rosso sul calendario. E alla fine Roccabarbara si è abituata, a Marina, e dopo un po’ anche ad Alberto. Donato invece si era abituato da mo’. Ci è voluto tempo, e botte, e pazienza, ma alla fine tutto è tornato normale, diciamo. E il merito grande è di quella donna. Anna”.
Moretti non sa bene cosa aggiungere. Fa finta, e gli riesce bene, di trasalire difronte all’ora tarda. Dà la colpa alla moglie che lo sta aspettando e prova a offrire la bevuta ai quattro evangelisti. Scopre così che non solo non è possibile, ma che anche le sue birre sono già state saldate con chissà quale movimento delle sopracciglia. Allora torna al tavolino, guarda quei quattro guardiani spalancando loro un sorriso sincero, stringe la mano a tutti e esce, dopo aver ringraziato anche il barista e i quattro o cinque avventori dei tavolini più vicini alla porta, che sicuramente hanno seguito tutto ma non si sono permessi di intervenire.
L’indomani succede che un SUV (ce l’aveva veramente) sfreccia fuori dal paese mentre un lungo muro di mattoni rossi pieno di manifesti gli sfila accanto, accompagnando Moretti e Signora verso i campi intorno a Roccabarbara.
“Hai visto tutti quei manifesti funebri?”
“Si, ci ho fatto caso proprio ieri, in quel giro che ho fatto in paese da solo. Particolari, no?”
“Beh, si – dice la moglie- molto appariscenti direi, un po’ barocchi, forse, un po’ pomposi. Sanno un po’ di paese, di tradizione, diciamo”
“Mmm… tu dici?”
“Io dico. Perché?”
Moretti sta zitto qualche secondo mentre un mare di grano gli si fa incontro sempre più deciso, sempre più luminoso, sempre più antico e immobile.
“Io dico di no”.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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