Vi ripropongo un articolo che ha scatenato un acceso dibattito un paio di anni fa (https://bolognesu.wordpress.com/2012/02/16/la-cultura-della-divisione-dei-sardi-in-bonos-e-malos/)
Alcuni amici mi hanno rimproverato per le mie critiche alla teoria della costante resistenziale, come se queste fossero dirette alla persona di Lilliu o all’insieme dell’azione svolta da Lilliu in campo politico e culturale, soprattutto a partire dagli anni Settanta.
Questi rimproveri nei miei confronti sono ingiusti.
Io non critico Lilliu, ma le cose di Lilliu che ritengo sbagliate.
E farlo non solo è lecito, ma anche doveroso, se permettete.
Da dove nasce la teoria di Lilliu sulla “costante resistenziale dei Sardi”?
Dalla visione dei Sardi come un popolo incapace di evolversi: riguardatevi, se avete dei dubbi, le mie citazioni di Lilliu nei post precedenti.
I Nuragici sarebbero stati un popolo di guerrieri in perenne lotta gli uni con gli altri, e questa bellicosità sarebbe dimostrata dall’altissimo numero di nuraghi presenti in Sardegna.
Una volta sconfitti, i Nuragici si sarebbero ritirati sulle montagne della “Barbagia” e lì sarebbero rimasti, tetragoni a ogni cambiamento, sia loro che i loro discendenti.
Gli altri Sardi, quelli sottomessi, si sarebbero mescolati–ORRORE!–agli invasori dando origine a una cultura che lo storico Francesco Cesare Casula ha definito “bastarda”, riferendosi nella fattispecie alla cultura punico-sarda.
Questo giudizio di valore, espresso esplicitamente da Casula, è implicito in tutta la costruzione teorica della “costante resistenziale”.
Era intenzione di Lilliu creare questa divisione?
Boh? Bisognerebbe chiederlo a lui, ma è sicuro che il concetto non nasce con Lilliu e che–forse malgrado Lilliu: chissà?–ha acquistato una vita propria e ha prodotto molti danni.
Ecco perché, questo concetto va combattuto politicamente, oltre che falsificato scientificamente.
Ora, che i nuraghi non possano essere delle costruzioni a fini militari è già stato dimostrato abbondantemente da tanti studiosi.
Il primo che abbia convinto me personalmente è stato Massimo Pittau–il Massimo studioso di linguistica sarda!–e l’ultimo in ordine di tempo è stato Mauro Peppino Zedda, con il suo “Archeologia del paesaggio nuragico”, un libro che consiglio a tutti quelli che siano ancora posseduti dai sacri furori resistenzialisti.
Il concetto della “bastardaggine” dei Sardi meridionali e della loro lingua, è stato comunque introdotto dal canonico Giovanni Spanu. Lo Spanu è l’autore di “ Ortografia sarda nazionale, ossia grammatica della lingua loguderese paragonata all’italiana” (1840). Giovanni Spanu, di Ploaghe, nella sua grammatica fece coincidere il sardo, con la varietà locale di cui era parlante e distingue questa dalla “varietà meridionale”.
Nella prefazione al dizionario dello Spanu (Vocabolario Sardo-Italiano e Italiano-Sardo, Cagliari, 1851-1852), scritta dal suo editore, si trova l’espicita suddivisione del sardo in due varietà nettamente separate: “Tra le otto famiglie di dialetti che originarono la lingua italiana, havvene due che alla nostra isola si appartengono, la Sarda e la Sicula, parlata la prima nelle parti meridionali e centrali, la seconda nelle parti settentrionali. […] Pisani e Genovesi come intaccarono il nazionale governo, ci guastaron pure la unità di lingua.” Mentre gli Spagnoli: “[…] molto la bruttarono nelle parti meridionali da formare quasi un distinto dialetto”. Insomma, sassarese e gallurese (le due varietà non linguisticamente sarde parlate nel settentrione dell’isola) vengono definiti come dialetti siciliani, mentre più avanti si ritrova il tema delle pretese influenze del pisano e genovese medievali sul sardo meridionale, riprese poi dal Wagner e dai suoi adepti.
Ancora più avanti si trova l’esplicita divisione del sardo in due gruppi, effettuata non in base alle caratteristiche strutturali dei vari dialetti, ma in base alla geografia: “Il dialetto sardo quindi rimase distinto in due gruppi, il meridionale parlato in Cagliari, Iglesias, Tortolì, Oristano, in quanti insomma vivono da Spartivento al Belvì; il centrale parlato in Logudoro da Gennargentu fino a Limbara.” Spanu (1851-52).
Sul solco tracciato dallo Spanu si è inserito Max Leopold Wagner, che, per di più, era anche fradicio della cultura razzista dell’Europa del suo tempo: “È difficile trovare in Europa altre regioni in cui meglio si sono conservate le tradizioni e gli usi di una volta, e dove gli abitanti—uomini liberi e belli—ricompensano di tutti i disagi. Il Sardo dei monti è un tipo del tutto diverso dal suo fratello della pianura. Mentre questo è di statura piccola, colorito pallido, carattere servile e tradisce chiaramente l’impronta spagnola, il Sardo delle montagne è alto, il sangue gli si gonfia e ribolle nelle vene. È attaccato alla sua vita libera e indomita a contatto con la natura selvaggia. Egli disprezza il Sardo del Meridione, il ‘Maureddu’, come nel Nuorese vengono chiamati gli abitanti della pianura. È fuori di dubbio che in queste montagne l’antica razza sarda si sia conservata molto più pura che nella pianura, continuamente sommersa dai nuovi invasori. Anche la lingua è la più bella e la più pura; è un dialetto armonioso e virile, con bei resti latini antichi ed una sintassi arcaica, quello che sopravvive in questi monti con sfumature varianti da un villaggio all’altro. La stessa cosa è riscontrabile negli abiti tradizionali, i quali in nessun’altra parte dell’isola sono tenuti in così grande considerazione e si sono conservati più originali. Come la lingua varia leggermente a causa di piccolo differenze fonetiche, così ogni villaggio ha nel proprio costume qualcosa di particolare e caratteristico, benché il modello di base rimanga lo stesso.”
Wagner scriveva negli stessi anni di Lombroso e si limita a rovesciarne specularmente le idee.
Non sappiamo se Lilliu abbia letto quest’articolo di Wagner, apparso in tedesco nel 1908, ma è indubbio che su Tedescuabbia influenzato le concezioni del giovane Lilliu.
In effetti, Lilliu, con la sua “costante resistenziale”, non dice niente di diverso da quanto fantasticato da Wagner: i Sardi duri e puri si sono rifugiati sulle montagne e là, dalle alte cime, innevate in questi giorni d’inverno, resistevano contro i loro conterranei asserviti dai dominatori, pieni di giustificato orgoglio e di disprezzo per i Maureddinos, fritto misto di razze e di lingue e portatori di una cultura “bastarda” già dai tempi degli infidi Cartaginesi.
Negare che queste fantasticherie malsane abbiano prodotto gravi danni al senso di appartenenza dei Sardi ad un’unica comunità, chiamiamola pure nazionale, e che siano state funzionali al dominio della Sardegna significa continuare a perpetuarle.
Le differenze e i conflitti tra pianura e montagna, illustrati e spiegati magistralmente da Le Lannou e da Braudel, hanno trovato nell’intellighentzia sarda una diligente schiera di personaggi–tutti formatisi nelle università italiane– disposti a costruire una mitologia pseudo-linguistica e pseudo-storica che rafforzasse i fisiologici contrasti tra pastori e agricoltori, tra montanari e contadini.
Una Sardegna immobile–rispetto a chi, se non un’osservatore esterno?–e insanabilmente divisa tra razze, lingue e storie radicalmente differenti: ecco la mitologia che ci hanno regalato Wagner e il primo Lilliu.
E queste fantasie malsane ce le hanno presentate come verità scientifiche.
Vi sorprende che tanti Sardi ci abbiano creduto e che ancora molti–i Sardi di cultura “bastarda”–abbiano perciò avuto enormi difficoltà a identificarsi nel modello di sardità proposto dalla “scienza”?
Oltre che allo statalismo del fu PCI, il divorzio di molti Sardi progressisti dalla loro cultura va certamente atribuito alla mitologia wagneriano-lilliuiana.
È tempo di dare spazio alla linguistica (quella vera) e alla storia (quella vera), saltando i filtri malati dell’università italiana (anche di Sardegna) e di guardarci attorno, nel presente, per capire cosa siamo e cosa vogliamo.
Fare scienza è a volte la stessa cosa che fare politica: è lotta di liberazione culturale.
COLONIALISTAS A MARE!
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design