Qualcosa come tredici o quattordici anni, avevo. Non un uomo fatto, figurati, ma una certa maturità linguistica avrei dovuto possederla. Cioè, dico, non tutto il lessico governato dalla Crusca, ma almeno qualche parolina al di fuori dei beni di sussistenza basica di quei miei anni tipo “panino mortadella” o “dieci Alfa, morbide e senza tronchi non trinciati in mezzo, per favore”.Ero in quella fase della vita, quando ricoverarono babbo per incidergli un ascesso non ricordo dove. Una piccola operazione ma con tanto di anestesia e tutto. Babbo era dottore anche lui e allora i dottori erano pochi e quindi tra di loro si trattavano bene. Lo misero in stanza singola con bagno, fecero l’intervento e gli toccarono un paio di giorni di ricovero per controllare che tutto si rimettesse bene a posto. Una sera mi assegnarono un turno di compagnia e, con tutto l’amore per babbo, non è che mi facesse piacere starmene quelle due o tre ore in ospedale con gli amici fuori in giro a divertirsi e con uno che tra ascesso operato, punti che tirano e altre cose così aveva pure le balle girate più di me.Non si poteva alzare dal letto per non sfottere le ferita, allora con gli allettamenti post operatori ci andavano giù duro rispetto a ora che qualche anno fa me ne hanno fatto alzare dal letto appena uscito da un’ernia inguinale e meno male che ero seduto altrimenti mi spalmavo a terra come un mandarino dimenticato su un ramo nascosto.Insomma, babbo non si può alzare e mi dice-Affacciati alla porta e vedi se c’è l’infermiere.Il grande corridoio è deserto.-No. Lo chiamo?Mi sembra indeciso, poi con aria che mi sembra di imbarazzo borbotta-No, non disturbarlo… Senti, guarda in bagno, c’è un pappagallo, portamelo e poi esci e torna quando ti chiamo.-Cazzo, di nuovo il delirio – penso io terrorizzato. Devi sapere che babbo quando gli veniva qualche linea di febbre delirava. Succede anche a me, devo averlo ereditato. Io in una mia famosa influenza tipo 40 gradi sotto Natale diedi a mia moglie minuziose disposizioni per l’allestimento del presepe, non accorgendomi nell’incoscienza che lei mi ascoltava distrattamente mandandomi affanculo. Babbo invece andava sullo scolastico o sul patriottico. Recitava più volentieri Foscolo ma una notte, a causa di una bronchite, declamò il Bollettino della Vittoria di Armando Diaz. Io ero ancora alle elementari e quando udii dal mio letto “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza” ebbi un sussulto di fierezza italiana, mentre mamma rideva come una pazza.Insomma, quando mi chiese di portargli questo pappagallo che doveva essere in bagno, mi feci certo che l’operazione era andata male e che gli era tornata la febbre per l’ascesso.Cercai di fare orecchie da mercante e mi avvicinai alla finestra fissando il nulla. Ma lui incalzò, sembrava preso dall’ossessione di quel volatile. Perse quel ritegno che al primo ordine sembrava avere.-Oh, mi hai sentito? Me lo porti il pappagallo o no?-Oh, ba’, ma dove vuoi che lo trovi adesso un pappagallo?Non avevo tutti i torti, bisogna dire. A quei tempi non è che trovavi le bestie esotiche a ogni angolo, come adesso, che le compri e poi te ne stufi e le butti dove ti viene bene a sconvolgere gli equilibri naturali.Ma lui non demordeva e, anzi, questa morbosa furia di avere subito tra le mani un pappagallo sembrava renderlo aggressivo.-Cretino, ti ho detto che è in bagno!Decisi di assecondarlo e indietreggiando senza perderlo d’occhio aprii la porta del bagno fingendo di dare un’occhiata.-Non c’è nessun pappagallo.-Strano, ho visto che l’infermiere lo riponeva lì. Vai a chiamarlo.Immaginando che nella sua follia volesse impegnarmi in una conversazione con l’uccello notoriamente parlante, gli ripetei.-Non c’è nessun pappagallo.Lui si fece inspiegabilmente sempre più agitato e offensivo.-Ti ho detto di chiamare l’infermiere, cretino.Ora io rievoco fatti lontani, la memoria può ingannarmi, forse non disse proprio “cretino”.Insomma, presi la palla al balzo e scappai dalla camera. Trovai l’infermiere.-Corra, babbo sta di nuovo male.Quello si preoccupò-Ma come, stanno per dimetterlo…-La febbre alta, delira, pensi: vuole un pappagallo.-Quello glielo porto subito io.Nel frattempo arrivammo in camera e l’infermiere prese dal bagno una strana ampolla con un lungo collo, lo porse a babbo che mi guardò con occhi di fuoco ed entrambi mi invitarono a uscire.Ecco, più di trent’anni dopo, quando era chiaro che babbo se ne stava andando, anche perché non delirava ma mi diceva cose molto serie, ebbi la tentazione di confessargli che quella volta io non è che volessi fargli un dispetto, è che proprio ignoravo l’altro significato di “pappagallo”.Ma non ebbi il coraggio.Per cui, siate buoni con le piccole deroghe che l’Accademia della Crusca consente nel linguaggio parlato, unicamente in quello, e limitatamente all’abuso del transitivo del verbo “sedere”, perché non è vero che conceda anche di dire “esci il cane”.Siate buoni, perché nel passato di tutti noi può esserci una macchia dalla forma di pappagallo.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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