La polemica della croce da appendere (o tenere appesa) sulle aule scolastiche mi riporta ad un viaggio di lavoro che io, insieme ad una delegazione del Ministero della Giustizia, facemmo, nel 2000, a Parigi. Dovevamo concludere un progetto europeo sulla presenza degli stranieri in carcere e su come gli stati membri includessero questi detenuti nelle varie attività. Erano previsti degli incontri non solo “istituzionali” ma anche “on the job” e pertanto la delegazione scelta per la Francia avrebbe visitato quattro penitenziari.La prima visita fu all’interno di una grandissima casa circondariale nella prima periferia di Parigi, nella zona della “Defense”. Luogo lontano dal centro ma raggiunto, comunque, dalla metropolitana che prendemmo, insieme ai nostri colleghi francesi. Fu la prima stranezza che notammo: l’uso del mezzo pubblico da noi, in certe occasioni, è assolutamente bandito e, in ogni caso, raggiungere i nostri penitenziari con un autobus non è assolutamente semplice. Fummo ricevuti dal Direttore e dal suo staff e cominciammo a visitare il carcere con la curiosità degli addetti ai lavori, attenti a comprendere come veniva organizzata la giornata di un detenuto. Il Direttore, un simpatico francese con la classica erre moscia, ad un certo punto ci accompagnò nella zona delle attività: un luogo molto ampio dove i detenuti potevano dedicarsi allo sport, al bricolage e allo studio. Ci colpì un’enorme stanza vuota e alla domanda posta da un collega relativa all’uso di quella stanza il Direttore rispose: “E’ la stanza della preghiera”. “Perché è vuota?”, ribattemmo. “Perché ogni giorno, a rotazione, vi è la possibilità di pregare il proprio Dio: cattolici, musulmani, buddisti, testimoni di Geova, ortodossi, copti. Tutti i ministri di culto devono venire in borghese e portare i paramenti e l’occorrente per officiare”. Il mio collega, ritenendo la Francia un paese cattolico come il nostro puntualizzò che la religione cattolica godeva di un’attenzione e di una sensibilità che in Francia, almeno in carcere, non trovava. “Da noi”, disse il collega “in ogni Istituto penitenziario c’è la cappella e abbiamo un cappellano. Chiaramente in chiesa possono recarsi anche i musulmani, gli stranieri”. Il Direttore ci guardò e con un sorriso rispose: “Mi dispiace, ma nous sommes la France, siamo uno Stato laico”. Ci guardammo in silenzio e con un sorriso di circostanza continuammo la visita. Sono convinto che a quel direttore a sentire la storia del crocifisso nelle aule scolastiche e quindi in un luogo statale gli verrebbe da ridere e aggiungerebbe, con un sospiro: “Ah, les italiens”.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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