Siamo onesti: l’occupazione militare della Sardegna si è forse ridotta di un solo centimetro quadrato per effetto delle tante manifestazioni allestite, da quarant’anni a questa parte, contro poligoni ed esercitazioni?
A me sembra di no. Quando gli americani hanno lasciato la base, a Santo Stefano, è stato solo per un loro libero calcolo, non perché costrettivi dalla pressione contraria dell’opinione pubblica. Le manifestazioni hanno una loro importanza simbolica, perché rinnovano le sacrosante ragioni di una protesta doverosa e sviluppano un’indispensabile presa di coscienza collettiva. Ma la loro efficacia, in termini di conseguimento del risultato, è impalpabile. Scavalcare una rete di recinzione per mettere con le spalle al muro ufficiali e sottufficiali non serve a nulla. Quella è gente pagata per ubbidire, non per dialogare con i manifestanti. Parlare con loro è sprecare fiato, usare forme di provocazione plateale può persino fare il gioco di chi cerca di delegittimare la mobilitazione, attribuendole un carattere violento. Ci vuole la politica, strumenti nuovi e creati ad hoc. Partiamo da un presupposto condiviso. L’occupazione militare non è una vera forma di economia perché non rispetta la dignità di un territorio, nel senso che lo rende schiavo e non ne valorizza le vocazioni. Quelle aree appartengono alla Sardegna.
Io credo serva una COSTITUENTE DELLA RIAPPROPRIAZIONE, definizione regalatami da Fiorenzo Caterini. Uomini e donne si spoglino di sigle e appartenenze politiche e si riuniscano in un posto simbolico della Sardegna – La Maddalena potrebbe essere di buon auspicio – per tre, quattro o cinque giorni di assemblea che deve avere al centro un unico punto: l’eliminazione delle servitù militari ed il recupero di quelle parti di Sardegna sacrificate ai giochi di guerra. L’assemblea deve essere aperta a tutti, purché aderiscano come singoli cittadini e non per conto di partiti e associazioni: occorre resettare ogni differenza, per neutralizzare sul nascere antagonismi e rivalità sempre pronti a riaffiorare. L’assemblea può farsi partito, se lo ritenesse, eleggendo propri organi dirigenti, sempre restando inteso che ha quale unica finalità LA RIAPPROPRIAZIONE. La Costituente serve solo a farsi restituire quel che alla Sardegna appartiene, tende a quell’orizzonte e a nessun altro, non può mescolarsi con altre cause che, inevitabilmente, finirebbero con l’annacquare la sua natura. Ogni intelligenza va messa a disposizione per stabilire metodi e percorsi per raggiungere il risultato. Bisogna stabilire come fare, quali strumenti usare, da chi farsi rappresentare. La Costituente persegue i propri fini per via politica, attraverso azioni concrete che non siano le solite manifestazioni davanti ai poligoni: quelle si possono e si devono fare, ma solo davanti ai luoghi di governo, ai centri delle Istituzioni che, da decenni, vedono nella Sardegna un posto remoto dove andare a sparare ogni possibile porcheria senza rimorsi di coscienza. La mia è solo una proposta, costruita sull’unica via che mi pare praticabile per uscire da questo vicolo cieco: la politica, nonostante tutto la cosa più alta che abbiamo.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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