Ho avuto la fortuna di vivere per oltre 50 anni con una Cara persona vicino, Vittoria, che non aspettava mai il Natale per essere buona, lo era sempre. Non l’ho mai sentita bestemmiare o scagliare le sue ire contro nessuno, anche quando (spesso e volentieri) ne avrebbe avuto tutto il diritto per ciò che le avevano fatto subire. Ma nulla, lei continuava a parlare bene di tutti, a cercare sempre di riappacificare e mai di mettere in scontro qualcuno.
Per le feste, ma non solo, si prodigava in cucina fra manicaretti locali e piatti nuovi non solo sardi, a casa non mancavano mai, per le festività, i dolci tipici della nostra tradizione, dai “pabassinos” e “còzzulos de Sapa” (tilìcas) alle “casgiadinas“, le “frisgiolas” e le “origliettas” per carnevale, sos “amarettos” e “sos gelminos” per le occasioni particolari, dalle lauree ai battesimi, ma anche le sue torte e “zuppe inglesi“, erano proverbiali.
La casa sempre in ordine e lei riusciva a trovare anche il tempo per dedicarsi ai suoi “hobbyes”, primo fra tutti, quello di intessere stupendi cestini di fieno marino, con palma o rafia.
Non ricordo che anno fosse, forse il 1974, quando il primo panettone fece il suo ingresso sulla nostra tavola. Ricordo che non ne rimasi particolarmente colpito, l’uva sultanina all’epoca non l’apprezzavo, i canditi anche meno.
Ma da quel giorno, non passammo più le festività natalizie senza i due dolci che, nella tradizione nordica, le rappresentano. Pandoro e Panettone diventarono i simboli del Natale scalzando man mano quei dolci che, sino ad allora per me, rappresentavano immagini di capanne fatte come “pinnetas” e personaggi in costume, sardo. Perché così mi immaginavo la natività, conoscevo Marrangone e Peppino, un toro ed un asinello che sin da piccolo cavalcavo, incosciente, li riconoscevo nel presepe insieme ai pastori, alle donne che portavano la sporta dell’acqua sulla testa, agli agnelli e pecorelle.
Conoscevo Loris, un bambino biondo con gli occhi blu che somigliava tantissimo a quel bimbo che rappresentavano nella culla/mangiatoia.
Il mio “Nadale” era riconoscibile, ne sentivo gli umori e gli odori solo a pensarlo, nell’attesa, un’attesa che non riguardava mai soltanto i regali, a me interessava piuttosto vedere quanto, tutti, saremmo stati davvero più buoni, e sino a quando.
In casa mia l’aria del Natale la sentivo per tutto l’anno, perché non si aspettava la festa, per ospitare chi stava peggio di noi ma succedeva sempre, i regali ce li siamo sempre fatti “quando si poteva”, col Cuore.
Poi arrivarono il panettone, il pandoro, i saporelli e i torroncini, le lenticchie e il cotechino, l’albero e le luminarie e, a poco a poco, sparirono tutti quegli odori e sapori che apprezzavo tanto prima per lasciare il posto all’odore e sapore tipico dell’industrializzazione, agli “Aromi Naturali E-cinquecentoeccetera”.
Il Natale non fu più il “Nadale” per me, ma solo un altro motivo di profonda tristezza per come l’ipocrisia, il potere e volere relegare sentimenti che dovremmo diffondere e nutrire senza soluzione di continuità, ininterrottamente ogni giorno, li abbia trasformati in “qualcosa da mostrare solo alle feste comandate” -mentre la sardità, quella no, quella l’abbiamo nascosta per sempre, manco per le feste sappiamo più dimostrarne un tantino-
Ora festeggiamo “Halloween”, non più “su Mortu in Mortu” e beviamo Spumante Champagne, non più Moscatello o Malvasia, ma di felicità e di bontà vere, sincere, se ne vedono sempre meno, come di “Sardi Dolci”, in giro, solo tanta amarezza.
E sempre troppi panettoni.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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