Di chi è la colpa? E’ la prima domanda che nasce subito quando c’è un incidente stradale, uno speronamento in mare, un’evasione da un carcere, una caduta dal quarto piano, un terremoto, il tracimamento di una diga. Tutti cerchiamo – da subito e senza nessuna prova – un colpevole che serve non tanto a risolvere il problema ma ad alleviare il nostro dolore, la nostra rabbia, la nostra impotenza. Una volta, durante un corso di formazione, un docente ci disse che cercare la colpa era un grosso errore: la soluzione andava trovata nel perché quel fatto era accaduto e se tutti i preposti avevano fatto tutto in regola affinché quell’atto non accadesse. il problema non era nell’errore umano o nella fatalità ma nella struttura. Ci disse il professore: “Fatevi sempre questa domanda: Ma se ci fossi stato io al posto di quest’uomo come mi sarei comportato? Se avessimo adottato un comportamento identico o comunque simile, la colpa non sarebbe stata attribuibile all’individuo ma diventava un problema strutturale”. Nel corso degli anni mi sono occupato di analizzare alcuni eventi critici avvenuti nei penitenziari italiani e il consiglio del docente al corso di formazione è stato davvero utile e necessario. Ho sempre tentato di osservare le cose con tranquillità e oggettività. Molte volte si trattava di un errore umano e molte volte l’errore era dovuto alla struttura. Di chi è la colpa? Se i nostri operatori fossero formati a fronteggiare i pericoli non ci dovrebbero essere problemi. I nostri operatori hanno dimostrato di essere sempre all’altezza della situazione. Se avessero i mezzi a disposizione potrebbero intervenire più tempestivamente. E’ vero. Però risulta che i mezzi ci sono e sono stati coordinati. Forse ne servivano altri, forse occorreva un piano strategico e quindi la colpa non è degli operatori, ma di chi non ha preparato un piano per le emergenze, il coordinamento, in questo modo, è stato intenso, lodevole ma scoordinato. Di chi è la colpa? Se qualcuno passa con il rosso e investe il pedone è semplice trovare il colpevole. Però se la sua auto non frenava nonostante l’avesse portata la mattina dal meccanico, pioveva e c’era pochissima luce, il semaforo era posto in un luogo sbagliato ecco che, incredibilmente, i problemi diventano strutturali: anche noi, nelle stesse condizioni, avremmo investito il pedone. In questi giorni “maledetti” gonfi di lacrime, disperazione, passati tra il terremoto, la neve, le valanghe, tutti hanno subito posto la fatidica domanda: di chi è la colpa? Chiaramente le risposte sono tra le più variegate e le teste che devono saltare sono quelle dei Dirigenti. Però – e lo dico da analista distaccato – (non per questo non conosco le cose) vi chiedo: siamo sempre in prima fila a parlare male delle lentezze burocratiche e poi, quando a dirlo sono i Dirigenti cambiamo subito idea? E ancora: la burocrazia è certezza amministrativa, rispetto per le regole. Non è pensabile acquistare una benna o uno spazzaneve in un attimo perché le regole non lo consentono e quelle regole sono diventate asfissianti, in quanto la corruzione è purtroppo lancinante ed invasiva in questo paese. Dovremmo tutti ricordare molto bene che c’è stato qualcuno che ha riso quando il terremoto ha raso al suolo L’Aquila e, giustamente, ci siamo indignati. Avremmo dovuto fare affari nell’imminenza dei fatti con quella gente? Ricordiamoci che, come afferma Raffaele Cantone: “Chi invoca il diritto di agire senza vincoli in nome dell’emergenza, domani sarà il primo ad indignarsi alla prima mazzetta”. Rifaccio la domanda: di chi è la colpa? Le regole sono importanti: i protocolli utilizzati negli ospedali, nelle carceri, negli aerei permettono di salvare le vite e di tranquillizzare chi lavora. Non sono orpelli burocratici inutili. Un piano di emergenza serve per definire i rischi. Ogni ufficio pubblico deve averlo e il Dirigente deve conoscere i rischi dei luoghi di lavoro. Quando nevica o scoppia un incendio i professionisti devono poter operare nel migliore dei modi. Ci sono poi le eccezioni o le varianti che nascono quando l’evento critico esplode. Eppure ci sono uomini che sanno raggiungere gli obiettivi anche nei momenti peggiori. Dovremmo ripartire dalla comunità, da farci tutti una domanda essenziale e dimenticare quella semplice semplice che risponde esclusivamente alla ricerca del colpevole e non aiuta a proseguire. La domanda dovrebbe essere: “Noi, per esempio, come ci saremmo comportati davanti a questo evento?” Proviamo con calma a rispondere a questa domanda che è utile perché è un’analisi che fa gruppo, che è comunità e, se credete, anche “paesitudine”.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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