Il dibattito sulla Città metropolitana – Cagliari, unica in Sardegna – si strangola nei tentacoli dello spoil system. Si confrontano i pro e i contro della decisione di Giunta: la balance of power, consolidata dall’analisi strutturale storica e geografica – Capo di Sopra vs Capo di Sotto – finisce qui. Cagliari asso pigliatutto del Pon Metro 2014-2020 (€ 40 milioni, in dote alla futura città metropolitana). Attoniti i sindaci del Nord Ovest nel loro dissenso istituzionale, rintronati appena ieri dal “via le tasse sulla casa” di Renzi, chiamati in tribunale a rispondere di bombe d’acqua e dissesto del territorio. Eppure questo e non altro è il percorso da Berlusconi a Monti, da Bersani a Letta, gli agguati precedenti la rielezione di Napolitano, i suoi strali a fare eco ai “compiti a casa” imposti dalla UE, sino a Renzi al timone con precisa rotta, condivisa in Parlamento, bloccato dal celibato politico istituzionale di Grillo. Insomma: il copione scritto di una partita di inesorabili pedine via via a dama. Poche voci istituzionali di dissenso: sul fiscal compact, ad esempio. Ben oltre l’opinione pubblica, insoddisfatta da aste di auto blu semideserte, via il Cnel; in Sardegna i referendum anticasta, seppure con quorum bassi, votavano ben prima l’abolizione delle province. Riforme severe, caldeggiate dai saggi di Napolitano a fine mandato e riprese nel patto del Nazareno sino alla legge Delrio. Si chiude il processo autonomistico: la stagione degli statuti comunali (la 142 del 1990 e la 267 del 2000); il federalismo a Costituzione invariata di Bassanini; quello padano di Calderoli. La legge Delrio suggella la revisione della Costituzione e sostituisce le articolazioni territoriali democratiche con ambiti strategici. Tutti concordi negli indirizzi, seppure inconsapevoli degli effetti del voto da loro stessi dato in Parlamento, certo sorpresi della “razionalità rispetto allo scopo” di una legge che nel combinato disposto con le strategie UE li spiazza con una distribuzione egoistica degli euro del PON. Si sa, la politica dell’Unione, dice Paolo Conte, parla una lingua difficile come fa l’Europa quando piove. Inascoltata dalla furba politica italiana: pagare le multe per le quote latte, spalmare su anni indebiti finanziamenti agli alberghi, le multe per le procedure di infrazione. Bravi insomma a far figurare la Buona Scuola come vittoria, laddove la stabilizzazione dei precari è atto dovuto. L’Europa vive attenta alle lobby e sa che la politica è fatta di consenso: Lione, con le rivolte nere dei quartieri, detta l’agenda della vivibilità. E i territori, lo spopolamento, la montagna? be’: vuoi mettere la Svezia con il Gennargentu? che poi il parco manco lo hanno voluto. Ecco, i giudizi sui politici sono severi: egoisti e incompetenti, ingrati del sostegno di territori che hanno determinato la loro vittoria. Fine della politica e spietata razionalizzazione della spesa, tra il marginalismo soft e le leggi di potenza del diagramma di Pareto – la legge 80/20. Ma basta constatare il peso demografico del cagliaritano – vi risiede un buon 40% della popolazione sarda – a finanziare le diseconomie di città mal cresciute e disservite? Il teorema che premia Cagliari è quello delle città stato europee, enclave opulente e problematiche per periferie socialmente esplosive: Lione, Parigi, Barcellona, Francoforte. A questo mira l’UE: si intervenga laddove il disagio ha preminenza gerarchica e le aree periferiche, in via di spopolamento, lasciamole alle profezie dei villages desertèes, tanto i territori non votano. Certo un ridimensionamento , della politica: evapora l’autonomismo della Rinascita, la specialità, l’Europa delle regioni svantaggiate (l’Obiettivo 1), la sussidiarietà munifica dei POR e la pianificazione strategica di Soru che chiamava i territori ad esprimere consapevole adesione alla visione d’assieme, competitor che valorizzano le specificità e le eccellenze (sì, brutta parola) locali. Ed è atto dovuto constatare come – Soru Consul Europae – la sua visione strategica si fermi ad Elmas. Certo, in Regione si presenta emendamenti compensativi – piano strategico, porti, aeroporti, bla bla bla – il topolino della la fiera dell’est, direbbe Branduardi: vincono le gerarchie dei numeri. Sardegna quasi un continente, scriveva Marcello Serra, non solo Cagliari; con una classe politica localistica e provinciale, patelle in collegi elettorali di nominati. Politici espressi da culture politiche usurate, forse contenti della disaffezione elettorale, senza seguito ma premiati. Finisce la politica delle vacche grasse, da mungere, le negoziazioni e gli emendamenti alle leggi di stabilità. Il capolinea è alle viste: la fine del bicameralismo, province, unioni e fusioni di comuni, sforbiciate alle municipalizzate; ma anche la cultura politica della Rinascita: Architettura ad Alghero, l’accentramento delle ASL; articolazioni statali periferiche ulteriormente contenute. E’ l’esito di un’Italia 2.0 ineluttabile cui i parlamentari hanno dato vita senza cogliere il senso compiuto del loro assenso. Ieri si parlava di coesione economica e sociale, di colmare il ritardo di sviluppo nella consapevolezza di economie duali, portato storico di differenze inammissibili, a leggere la Costituzione. Nell’attesa degli ambiti strategici e di una classe politica attenta. E onesta….
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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