Quelle immagini che girano in rete degli scavi di Mont’e Prama completamente allagati, (tra cui questa tratta dal video dell’On. Pili), con la banda di delimitazione arancione raccogliticcia, mezzo strappata, legata col cordino, è quanto di più penoso ci possa essere per evidenziare l’importanza di una scoperta. Sono immagini deprimenti. Anche il sito archeologico meno importante viene provvisto di una tettoia, o almeno di un tendone. Figurarsi questo, considerato, ormai da tutti, di assoluta importanza. Eppure, a Mont’è Prama, nulla. Probabile, e si spera, che la cosa non rappresenti un problema tecnico o scientifico, che i reperti non siano stati danneggiati. Tuttavia questa storia, questo ulteriore episodio, che richiama alla mente il trasporto delle statue, si ricorderà, a bordo del piccolo autocarro legato con le cordicelle, non è, a mio parere, conseguenza solo di trascuratezza politica, o della cronica mancanza di fondi. Io vedo in questo menefreghismo lo stesso scetticismo di fondo, l’atteggiamento leggero, ironico, bonario, oppure, al contrario, settario, chiuso, ortodosso, burocratico che da sempre ha accompagnato questa scoperta in Sardegna, come del resto tutta la sua storiografia antica. Un atteggiamento che tende a fornire una immagine della storia sarda che è quella: di abbandono, di inutilità, di roba poco importante. Sembrano quei cantieri archeologici, quelle seccature che interrompono la costruzione della strada, o le fondamenta del palazzo. Che palle, macchine ferme, aspettando che passi la seccatura. Tutta una altra minestra sarebbe stato aver recintato il sito con una rete metallica seria, con luci e telecamere, con un servizio di guardiania apposita. Sarebbe già stata una promozione quella, una pubblicità efficace fatta con modica spesa. Nella mio articolo “Un Parco per Monte Prama” ho proposto che gli scavi stessi, con archeologi al lavoro e strutture adeguate di fruizione pubblica, potessero diventare una attrazione vera e propria, vicino alle riproduzioni delle statue in loco e a quelle di un grande museo di pregio architettonico. Ora immaginiamo, seguendo il filo del racconto di Bolognesi sull’ipotesi cinematografica “Se Holliwood scoprisse i nuraghi” ,oppure se dovessimo dare seguito, come descrive Giorgioni, alla pubblicità gratuita contenuta nel film di Woody Allen “la Sardegna di Woody Allen” che dei produttori, dei registi, degli scrittori di chiara fama, decidessero di visitare gli scavi di cui avessero sentito tanto parlare. Diciamoci la verità. Ci sarebbe da sotterrarsi sotto il livello dell’acqua dalla figura di merda. Tutta questa “mitofobia” che ci pervade, ormai ha finito per denigrarci dentro, per corroderci fino al punto da non trovare più quell’equilibrio che ci fa distinguere le cose futili e banali dalle cose importanti, il momento della scienza da quello, importante e fondamentale, dell’utile. Un clima generale di scetticismo che discende da forme di modalità spicce del pensiero dominante, che da tale si è fatto comune. L’egemonia del pensiero liberista ormai ha pervaso ogni campo della società, e chi non lo segue dovrà scontare la pena della denigrazione. Con la cultura non si mangia, i campi non producono, finanziamo industrie impattanti e i campi da golf. Peccato che gli unici settori in crescita sono i musei, il formaggio ovino e il sughero. Questi ultimi due comparti, soggetti a drammatiche oscillazioni, comunque non chiudono come succede, ormai, per quasi tutte le industrie. Ergo, si finanziano le industrie, chiaro. Mentre l’osservazione ci mostra come siano la tradizione, il sapere locale, l’agroalimentare che si fonda su una filiera completa, a reggere ancora. C’è tutta una consapevolezza politica da rifondare, ad averne il coraggio e la volontà. Non mi stancherò mai di dirlo: la Sardegna non deve seguire modelli di sviluppo importati, scolastici, dominanti. Quando si seguono questi modelli di sviluppo, si finisce per fare gli interessi di altri. La Sardegna deve puntare sulla Sardegna. Il che può sembrare retorico: ma pensate voi se esiste un popolo che ha avuto successo in qualche attività umana che non fosse quella in cui aveva un suo sapere, una sua vocazione, un sua cultura. La Sardegna deve fare una grande operazione di recupero del suo patrimonio storico e archeologico, non solo tecnico e culturale, ma anche mentale. Intanto, proviamo a dotare il sito degli scavi di una logistica moderna e funzionale. Facciamo vedere che non siamo degli ingrati di fronte a tanta ricchezza. Anche perché, poi, in fin dei conti, là ci sono le nostre ossa, i nostri morti, i nostri avi, e che diamine.
Si ringrazia per il fermo immagine l’On. Mauro Pili.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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