Il 3 gennaio del 2019, alle ore 13, nella trattoria “Pepe romano”, a Campo Marzio, il deputato ligure Oscar Santafuria entrò per errore nel bagno delle donne e vi trovò la deputata sarda Dorotea Tussis che pisciava in piedi. La onorevole Tussis si era allontanata poco prima informando sottovoce la collega Iguani che andava un attimo a incipriarsi il naso. La Iguani si era mostrata divertita alla battuta ma, appena la Tussis era scomparsa verso la toilette, si era rivolta ai deputati della corrente del suo partito riuniti a pranzo e l’aveva sputtanata -Ma come hanno fatto i sardi a eleggere una pastorella che fa le battute stile Novecento? Santafuria l’aveva guardata con astio -Perché, cosa ha detto di così ridicolo? -Santafuria, perché ti agiti? Innamorato? Tanto non te la dà. L’onorevole Santafuria si era alzato furioso -Beh, vado anch’io “a incipriarmi il naso”: è una reazione fisiologica alla tua perfida gelosia. Era entrato in bagno e, agitato com’era, aveva sbagliato porta. L’onorevole Santafuria era effettivamente innamorato della onorevole Tussis. L’aveva angelicata, vi pensava come a un ideale. E questo l’aveva portato a trascurare l’aspetto fisico della collega, dal viso piuttosto sgraziato e solitamente abbigliata in modo tale da evidenziare smodatamente il gran culo e l’enorme seno. Sorprenderla quindi in quella intima fisicità che un essere umano raggiunge più quando fa i bisogni che quando fa l’amore, mise l’onorevole Santafuria in grave imbarazzo. E soltanto dopo avere richiuso la porta con un borbottio di scuse, il deputato realizzò che una donna di solito non piscia in piedi. Tornò pensoso al tavolo. Attese il ritorno della Tussis e la osservò durante tutto il pranzo. La deputata partecipò alla discussione portando i suoi consigli come al solito utili. Propose anche una soluzione geniale per rinviare il problema caduta del governo-pensione dei presenti. Infine salutò tutti, compreso lui, con un gran sorriso. Santafuria si rifugiò in un bar, solo, davanti a un caffè. Voleva riflettere. Ma squillò il telefonino. Apparve la scritta “LEI”. Aveva registrato così il numero della Tussis. Era proprio cotto. Udì l’affascinante voce nasina. -Ciao, Santafuria. Possiamo parlare? -Certo. Quando? -Anche subito. Dove sei? -Al bar vicino al ristorante. Mi raggiungi? -No. Vieni tu a casa mia. Ricordi dov’è? -Sì. Santafuria qualche volta aveva accompagnato la onorevole Tussis al portone. Ma non l’aveva mai varcato. E, da quanto si sapeva, nessuno del loro ambiente aveva mai salito le scale del palazzo umbertino che incorniciavano la gabbia del vecchio ascensore di legno odoroso di olio di lino, che ora si muoveva con gemiti di antichi meccanismi mentre lui calpestava la passatoia rossa. Era emozionato e teso, oppresso dal presagio di corpi materiali che all’improvviso irrompessero nel suo mistico innamoramento. Ad aprirgli la porta fu un uomo di mezza età. Indossava maglione e jeans che ne evidenziavano il fisico asciutto. Gli fece cenno di accomodarsi su un divano. Ogni gesto era istintivamente maschile , anche il modo di accavallare le gambe, tenendo il fianco di un piede sul ginocchio dell’altra gamba. Parlò e la voce era grave e bassa, come un baritono che durante una prova cantasse in mezzi toni per non stancare la gola. Ma il viso era quello della onorevole Tussis. -Santafuria, ricorderai che alle elezioni dell’anno scorso il nostro partito in Sardegna non riusciva a trovare un numero sufficiente di donne da candidare. Allora ebbi l’idea di…
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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