Il 20 agosto del 1901 nacque a Modica (Ragusa) Salvatore Quasimodo, destinato a dare lustro alla nostra letteratura. Pochi sanno (anzi, fino a ora lo sapevo soltanto io: se vi fidate bene, altrimenti forse è anche meglio) che sino alla morte il grande poeta venne perseguitato da tale Giacomo Lorenzo Curatolo, professore di Italiano di Quasimodo nell’Istituto Tecnico di Messina, il quale dedicò la propria vita a dimostrare che la poesia dell’insigne letterato comunemente conosciuta con il titolo “Ed è subito sera” è una cagata. Il noto componimento, divenuto uno dei simboli dell’ermetismo, non venne concepito da Quasimodo nei primi anni Quaranta, come erroneamente si ritiene, ma durante l’adolescenza a Messina, città dove con la sua famiglia si era trasferito al seguito del padre capostazione. Qui il ragazzo si era innamorato di una matura sarta, tale Lucia Spadaro, alla quale dedicava lunghe poesie, oltre che clandestine e frequenti soste nella ritirata di casa dove in perfetta solitudine, e senza che lei ne fosse al corrente, si accoppiava con la dotata artigiana. Le poesie gliele faceva avere con molteplici artifizi presso l’atelier. Non avendone riscontro di gradimento, ma soltanto risolini ironici e volgari gesti di mano, quasi che la sarta intuisse i romitaggi da comodo del futuro premio Nobel, il piccolo Salvatore si fece convinto che ciò dipendesse dall’eccessiva lunghezza dei componimenti. Maturò così l’idea dei tre versi fulminanti che avrebbero dovuto icasticamente esprimere la propria tormentosa passione per la sarta e convincerla a cadergli tra le mani che avrebbe finalmente potuto impiegare in occupazioni meno autoriflessive. Ma prima di farla avere all’oggetto del proprio ardore, Quasimodo volle questa volta assicurarsi della validità letteraria della poesia. E decise di mostrarla al suo insegnante, l’unico tra i conoscenti che ritenesse capace di giudicare simili scritti. Il ragazzo aveva un rapporto di ammirazione ma anche di paura e dipendenza nei confronti del professor Curatolo, uomo colto però burbero e stizzoso, afflitto dalla necessità di perdere con dei giovani segaioli il tempo che avrebbe potuto dedicare ad alti impegni letterari, se le circostanze della vita non lo avessero costretto a lavorare per guadagnarsi il pane. E con gli alunni, che odiava, sfogava quindi l’acredine di questa esistenziale insoddisfazione. Fu così che all’età di sedici anni, in piena prima guerra mondiale, Quasimodo si avvicinò timido alla cattedra del professor Curatolo per consegnargli un foglietto. L’insegnante sbirciò senza neppure sollevare gli occhi dal registro. -Cosa sarebbe questo? -Un mio componimento, professore. -E cosa dovrei farci? Sono già stato al cesso questa mattina. -Se potesse leggerlo… -Perché dovrei? Il giovane si sentì disarmato. Non aveva ancora esperienza ma già presagiva che nella sua esistenza chissà quanti adolescenti che gli proponevano la lettura di loro poesie avrebbe mandato affanculo. Tuttavia ebbe la presenza di spirito di rispondere. -Per darmi il suo giudizio, professore, ci tengo tanto! Curatolo, arcigno, spostò gli occhi dal registro e buttò uno sguardo sul foglietto. -Scrivi come i segni che lascia il gatto quando si pulisce il culo strisciandolo in terra. Non capisco niente. Leggila tu a voce alta. Quasimodo, che quando si emozionava assumeva una voce stridula, inghiottì un paio di volte a vuoto e, dopo una falsa partenza, finalmente declamò -Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera. E tacque chinando lo sguardo perché non aveva il coraggio di guardare nel viso il professore. Sino a quando udì la sua voce. -Ebbene? -Ebbene cosa, professore? -Continua. -E’ finita. -Mi stai prendendo per il culo? -Non mi permetterei mai. -Minchia, ti sei sprecato. Ti sono scese prima l’ernia sinistra e poi l’ernia destra per scrivere questa poesia. -Io volevo esprimere in maniera sintetica la mia condizione di dolore. -Sintetica una grande minca. Come al solito non hai voglia di fare una minchia Il professore, da fine erudito, prediligeva l’uso alliterativo e metaforico del popolare vocabolo siciliano. -Vorrebbe essere una ricerca ermetica. -In questo sei riuscito: non si capisce una minchia. -Ma lei stesso ci ha spiegato che la sintetica efficacia di Catullo in carmi brevi qual è Odi et amo, un solo distico elegiaco che… -Catullo futtia comu u’ rizzu, non era un pippaiolo come te. Quasimodo arrossì pensando -Quindi anche lui sa… Maledizione! E tornò deluso a posto. Molti anni dopo, quando il poeta era già famoso e aveva rimosso dalla memoria collettiva e dalla propria il passato di giovane amante solitario, Quasimodo decise di tirare fuori dal cassetto il componimento giovanile. Avvenne quando Giuseppe Ungaretti ripropose per l’ennesima volta il suo vecchio “M’illumino d’immenso” e tutti lì a osannare i due versi definendoli il traguardo più alto dell’ermetismo. Quasimodo orchestrò un’abile campagna preparatoria con la complicità di critici prezzolati che nelle principali pagine letterarie diffusero la notizia che il poeta stava apparecchiando qualcosa di clamoroso. Sino a quando, in una affollata assemblea, davanti a un pubblico internazionale, egli, dopo una prolusione sull’ermetismo, ovviamente incomprensibile, si levò in piedi per declamare -Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera. Ci fu un lungo attimo di stupito silenzio, durante il quale, prima che la claque ingaggiata dall’autore facesse in tempo a scatenare l’ovazione, si udì dal fondo una voce roboante. -E poi? Quasimodo impallidì. Era il professor Curatolo ormai in pensione e che, letto sui giornali dell’imminente declamazione del poeta, sospettando che si trattasse della stessa poesia di quella volta, aveva risalito la penisola per partecipare all’evento. Quasimodo fece cenni disperati alla claque di andare avanti, ma quelli non capivano se l’interruzione fosse voluta o meno. E il professore, approfittando di quell’esitazione, incalzò -Già finita? Non ti sei sprecato. Quasimodo tentò di reagire -E’ un simbolo della brevità dell’esistenza. -Se permetti mi tocco i cugghiuni. Io conto di vivere ancora a lungo. -Ma io con il sintagma “cuor della terra” esprimo la limitatezza dell’uomo rispetto alla grandezza del mondo. -Ma lo sai che cosa vuol dire “sintagma”? Non c’erano ancora gli smartphone con Google e Quasimodo era evidentemente imbarazzato. Il professore incalzò -Il fatto è che non hai voglia di fare una minchia. Neppure laureato ti sei! Il letterato reagì indispettito con la voce stridula di quando perdeva il controllo -Io ho due lauree ad honorem. -Appunto, voglia di fare una minchia. Io di laurea ne ho una sola ma ho studiato sodo per prenderla. La verità è che hai scritto una cagata. Insomma, il dibattito degenerò. La claque, capita la situazione, tentò di lanciare l’ovazione. Ma era troppo tardi. Il pubblico si divise tra gli ammiratori del poeta e i detrattori che portarono Curatolo in trionfo sulle spalle. Si ebbero infine deprecabili episodi di scontro fisico tra le opposte fazioni che provocarono l’intervento della celere, la quale disperse l’adunata giudicandola sediziosa. Da allora Curatolo, affrontando ingenti spese con le sue limitate entrate di pensionato dello Stato, seguì Quasimodo per disturbarlo in tutte le manifestazioni pubbliche. Venne anche intervistato da grandi giornalisti e critici militanti. In uno dei suoi primi numeri il Mondo di Pannunzio, contravvenendo allo stile paludato dei periodici italiani, titolò coraggiosamente un’intervista con Curatolo: “La cagata di Quasimodo”. Nel 1968, ormai centenario, poco dopo avere clamorosamente turbato l’ennesima comparizione pubblica dell’ormai premio Nobel, il professor Curatolo si spense nella sua casa di Messina. Quasimodo apprese con sollievo la notizia e per mostrarsi al di sopra delle polemiche fece pubblicare la propria partecipazione al lutto tra le necrologie del Giornale di Sicilia. Fu il giorno più bello della sua vita e decise di festeggiare con una breve villeggiatura ad Amalfi. Qui venne colto da un ictus che in poche ore lo portò alla morte.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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