L’altro giorno ho buttato giù per SardegnaBlogger un piccolo nonsense naturalmente totalmente inventato a proposito di Salvatore Quasimodo. Parlava di un certo professor Curatolo che aveva votato la sua vita a perseguitare il poeta per dimostrare che “Ed è subito sera” era una cagata. Si trattava appunto di una cagatina scritta in fretta e furia quando mi sono ricordato che era il mio turno per la rubrica “L’Agenda scorsa”, ma che ha avuto un imprevisto e incredibile numero di letture e di approvazioni. Ciò che, se da un lato alimenta il mio narcisismo, dall’altro mi induce ad allarmate riflessioni sulla percezione del messaggio nei social media in rapporto alla variegata composizione del loro pubblico. Devo dire che il grande numero di letture in fondo non mi ha stupito. Magari c’erano un paio di battutine azzeccate e la gente grazie al cielo ha ancora voglia di ridere. E tra i tanti commenti pescati a caso nelle innumerevoli condivisioni, mi ha particolarmente inorgoglito quello di un signore che scriveva pressappoco: “Questo raccontino mi ha fatto cominciare la giornata con un sorriso”. Ma ciò che mi dà da pensare sono i pochi lettori che commentavano la storia nella convinzione che il professor Curatolo fosse davvero esistito e che davvero avesse dato del pipaiolo al suo alunno futuro Nobel, in quell’epoca innamorato di una matura sarta siciliana alla quale dedicava poesie e pratiche solitarie. Vi sembra che una simile cazzata possa essere vera? E’ possibile che da questi presupposti si possano armare discussioni partecipatissime sul professor Curatolo, credendo reale persino la sua intervista al Mondo di Pannunzio intitolata “La cagata di Quasimodo”? E le discussioni dimostrano un’attenta lettura dello scritto. Non si tratta del solito fenomeno della gente che insulta o loda dopo avere letto soltanto il titolo o le prime righe. Ma la vera riflessione consiste nel fatto che alcuni di coloro che hanno commentato in questa linea erano docenti o comunque persone che dal loro profilo Facebook risultano essere seri intellettuali. La riflessione è quindi questa: sui social è meglio non scherzare. O meglio, bisogna che lo scherzo sia evidente, è opportuno avvisare prima. Signori, questa è una barzelletta, badate che Quasimodo da adolescente non era un pipaiolo. O, almeno, se lo era, io non ne sono al corrente. E il professor Giacomo Lorenzo Curatolo non è mai esistito. A meno che non ce ne sia stato qualcuno omonimo. Ma in questo caso il riferimento sarebbe casuale, come si dice nei titoli di coda dei film. Certo che se fai queste premesse la cosa non fa più ridere. Però io ho la sensazione che ci sia nei social una vasta categoria di lettori che non vogliono ridere se non a livelli eccelsi: di quelle risate che sono appena una piega delle labbra che non deve fare perdere sussiego all’espressione complessiva.Un po’ come Gigi Proietti quando imita la risata di Eduardo De Filippo.
C’è una vasta rappresentanza di intellettuali che diffidano di chi tenta di farli divertire senza l’uso minimo del “Tartufo” di Moliere o degli aspetti umoristici del declino dei Rostov in “Guerra e pace”. Per affermare che anche nel riso la tragedia deve sempre essere dietro l’angolo, altrimenti non si è politically correct.
Il professore di Italiano che avevo al liceo è uno dei più grandi intellettuali sardi. Non lo dico per farmi barra, che anzi lui, magari mentre stiamo chiacchierando d’altro, tuttora all’improvviso mi guarda con un’espressione di affettuosa tristezza e sospira: “Sai, tu sei uno dei pochissimi fallimenti della mia carriera di insegnante”.
Ne parlo perché, nonostante il fiasco che mi riguarda, è un grandissimo maestro e quando interrogava sulla Divina Commedia aveva un’abitudine. Se si accorgeva che qualcuno ripeteva la pappardella della “trama”, se infarciva il racconto di continui e convinti “e allora Dante si recò…”, “e quindi Francesca disse”, “Caronte si irritò e…”, allora lui interrompeva il malcapitato.
-Ma, scusa, ho un dubbio. Per caso tu pensi che Dante davvero sia andato e tornato dall’Inferno, dal Purgatorio e dal Paradiso…? Nooo, non è vero. Ma non ve l’avevo detto?
-No, professore – rispondeva lo studente ignorando che così si stava scavando la fossa.
– Ma allora è colpa mia. Te ne informo ora: Dante si è inventato tutto. Sono tutte bugie. Lui quel viaggio non lo ha mai fatto.
Ed era una lezione che aveva due livelli. Il più evidente è che se ti avvicini a uno dei frutti più alti dell’ingegno umano come fosse una cantilena da imparare a memoria, fai figure del cazzo. L’altro è che devi imparare l’elementare ma fondamentale concetto di finzione prima di addentrarti sia nella Commedia di Dante sia nel più stupido dei raccontini scritto all’ultimo momento per riempire uno spazio.
Devo dire che la quasi totalità dei commenti era du comuni lettori ma anche insegnanti e prestigiosi intellettuali che hanno valutato la reale portata della mia goliardata. Due, anzi, mi hanno carbonizzato con un umorismo senz’altro più fine e corrosivo del mio.
Il primo è Guido Melis che, riferendosi alla “cagata” di Quasimodo ha minacciato di sottoporre tutta la mia produzione al giudizio di quel professore di cui si parlava prima, per valutare se anche quella non sia per caso una cagata.
Bisogna infatti sapere che quel professore, il quale lo è stato anche di Melis, se gli chiedi un giudizio su una tua cosa sceglie sostanzialmente fra tre livelli: il più alto, rarissimo, è la locuzione “Va bene”, che credo abbia usato soltanto con capolavori assoluti e mai comunque con me; quello medio è “Sì, ho letto”, e il fatto stesso che abbia letto e non commenti negativamente deve bastarti; il più frequente è appunto “E’ una cagata”, al quale credo Melis si riferisse manifestando l’intento di inviargli i miei scritti.
L’altro giudizio spiritoso è dello scrittore Salvatore Mannuzzu: pure premettendo che il racconto non gli sembrava straordinario (ci mancherebbe), si associava comunque volentieri se c’era “da parlare male di Quasimodo”. E ne ha parlato.
Ma a queste perle di sapidità si sono aggiunte tante insipide e assurde critiche al povero e inesistente Curatolo, frasi sprezzanti per le offese al nume e altre cose così.
Chissà se uno dei miei eroi, Achille Campanile, quando ha scritto che Beethoven, divenuto sordo, era convinto di scrivere dei ballabili e che quando vedeva il pubblico che ascoltava compunto diceva fra sé: “Maledizione, un altro fiasco”, è stato raggiunto da commentatori che gli spiegavano che in realtà è chiarissimo che si tratta di concerti e sinfonie e non di musica da balera. A me piacciono i social. E odio l’ignoranza e la violenza di chi li usa per giudicare senza leggere, per insultare, per dare sfogo ai collettivi sensi di confusa e rabbiosa esclusione dal vero senso delle cose. Ma non apprezzo neppure coloro che pattugliano il salotto buono attenti a che randagi come il sottoscritto, entrati chissà come, possano fare pipì sul tappeto. E se c’è una via di mezzo tra questi due atteggiamenti, la percorro con una discreta dose di orgoglio.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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