Per chi non conosce l’attuale universo scolastico, o si avvicina ad esso attraverso i racconti abilmente manomessi dei propri figli, l’unico punto di riferimento resta il ricordo di quello che ha frequentato in gioventù.
Niente di più sbagliato. La scuola è cambiata moltissimo e, se mi guardo indietro, mi accorgo dell’enorme metamorfosi che si è compiuta dai miei primi anni di insegnamento ad ora. Tra i vari motivi di ordine didattico, ottimizzazione del lavoro, avvicendamento di riforme eccetera eccetera ritengo che la causa di questa grande alterazione risieda nella paura e la sempre più diffusa, specie per chi intenda avvalersi della bocciatura come uno strumento meritocratico/formativo e non punitivo, preoccupazione di pararsi il culo.
Lasciare debiti e/o bocciare è un boomerang per una scuola, la cui qualità spesso viene erroneamente giudicata (anche economicamente tramite finanziamenti elargiti) in base al numero degli alunni. Quindi la scuola che funziona è quella che promuove. Durante gli scrutini le bocciature verranno dunque ostacolate in primis dal dirigente che tenterà di individuarvi come causa dell’insuccesso scolastico dell’alunno:
– È stato adeguatamente motivato? – – Certo! – – Sono state messe in atto tutte le strategie per garantirgli la riuscita? – – Ovviamente! –
Il secondo step da superare sono i colleghi pietisti:
– Ma poverino, ha un sacco di problemi – – Anche altri alunni ne hanno, e quindi? –
Il terzo è lo spauracchio dei genitori che animati da commoventi intenti tutelari, ma pedagogicamente inqualificabili, imbracciano l’artiglieria pesante preparando il ricorso contro la scuola. Ne deriva che quell’anno mi ero conquistata con onore la fama da stronza lasciando il debito in storia a un ragazzetto per dargli l’opportunità di rimediare al fancazzismo che aveva caratterizzato il suo anno scolastico. Colpe che invece, nell’immaginario comune, erano imputabili a tutti fuorché a lui. Quindi della sottoscritta, della famiglia e della scuola, come da ordine summenzionato.
– Parlami del Principato di Ottaviano – gli avevo chiesto a settembre in occasione degli esami di recupero del debito. – Non lo so. – – Vediamo allora qualcosa su Diocleziano e la riforma dell’Impero? – – Nemmeno questo. – – La fine dell’impero romano d’Occidente? – – Uhm non saprei. – mi aveva risposto scuotendo la testa. – C’è un argomento che conosci? Almeno uno a piacere, dai… – – No prof. oggi è lunedì e ieri c’era la serata di chiusura dell’Ambra Night. (nota discoteca nei pressi di San Teodoro n.d.r.) – – Ah eri in discoteca e non hai potuto studiare? Allora basta, per me va benissimo così. –
Inutile dire che in Consiglio di Classe mi ero scontrata col mio preside, coi colleghi pietisti e forse anche un po’ con me stessa, far ripetere l’anno per un unico debito è una di quelle cose che fa sussultare la coscienza. Ma la benevolenza, che spesso mette a tacere l’anima, talvolta fa a botte col fine educativo che si persegue.
L’alunno respinto non era più mio alunno, aveva smesso di salutarmi ed ero diventata la stronza che l’aveva bocciato.
Dopo tre anni un pomeriggio di primavera facevo jogging al parco, lui era lì: seduto in una panchina a leggere un libro. E non avete idea dell’enorme bellezza di quell’immagine per una professoressa, un po’ come la mamma che ammira il figlioletto quando smette di gattonare e muovendo i suoi primi incerti passi cammina da solo. Ecco, la soddisfazione è più o meno la stessa. – Buonasera prof., si tiene in forma? – mi aveva chiesto dopo anni di silenzio e di saluti negati. – Insomma, ci provo. Tu come stai? – – Abbastanza bene, grazie – – Stai studiando? – – No, sto leggendo un romanzo – aveva detto, sollevando il libro e mostrandomi la copertina. – A scuola stai andando bene? – – Sì, prof. credo che quest’anno non avrò nemmeno un debito –
Avevo sfoderato un sorriso che era un condensato di parole, parole buone.
– Le volevo anche dire che ora l’ho capito: quella bocciatura me l’ero meritata, lei non era stata stronza… ero stato stupido io. –
Ho avuto la conferma, a distanza di anni, che spesso una bocciatura insegna molto più della materia da recuperare.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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