Sono tempi complessi, che privilegiano il calcolo, la valutazione, la programmazione e si dice che gli studenti non amino la poesia a scuola… tranne poche eccezioni, è un fatto, ma i fatti sono sempre smentibili. C’è una poetessa e scrittrice straordinaria, oggi, e si chiama Elena Mearini, ma è difficile da proporre, nonostante i suoi versi siano splendidi, arrivino direttamente all’animo; sulle antologie non c’è e le LIM – le lavagne attive multimediali – non sono state ancora collaudate. E allora, alla vigilia della Vacanze, mi rivolgo a un bellissimo racconto in forma di versi che Elena ha scritto sul libro-antologia della Siria, che l’altro anno avevo scelto come sfrontato libro di testo, un racconto che parla di tre bambini prigionieri di uno scantinato durante uno dei tanti bombardamenti in Siria. Amir, il fratello più grande, esce allo scoperto a cercare l’acqua, ma rimane incantato di fronte al crollo del negozio di falafel di Omar. Ricorda i loro momenti felici in quel luogo, dinanzi ai vassoi colmi di falafel, e allora decide di cercarne almeno uno, superstite, che possa fare la felicità della sorellina, incurante degli spari che gli piovono accanto… Lo leggiamo. E’ una poesia, e i ragazzi ne rimangono incantati, nonostante il tono triste del contesto. Una forma di poesia che fa pensare alla nota più alta di follia che sta dentro la guerra: la negazione della bellezza nei confronti di coloro che sono pura bellezza, i bambini. Perché nonostante le conquiste delle forze congiunte russo-turche i bambini soffrono ancora quella che è ormai una guerra infinita, in cui le prime vittime sono loro. Quando la guerra colpisce i bambini, l’umano scompare. E non esiste occhio che sappia ritrovarlo… forse, chissà, la parola può vedere ciò che lo sguardo non coglie… almeno, ci può provare, quando riesce a manifestarsi con verità piena. Martina, la mia migliore studentessa, tra tutte, coglie perfettamente questo intento. Scrive: “ Lottare per non cedere i propri ricordi alle tenebre. Tutto racchiuso in un piccolo falafel. E il protagonista combatte fino alla morte, senza arrendersi, senza fare in modo che quella prova, che quella traccia di un passato, se così si vuol definire, gioioso, scompaia. Perché quell’insignificante falafel è importante ed è ancora più prezioso dell’acqua da riportare alla tana, dove Laila aspetta con Manù il ritorno del fratello. Lui desidera ardentemente quel falafel, lo desidera così tanto da immaginarsi il volto della sorella dinanzi al boccone di cibo. Lui vuole farla sentire felice, vuole farle sapere che quei giorni passati al negozio di Omar non sono finiti, essi continuano a vivere nei loro ricordi. Perché, alla fine, quest’ultimi sono l’unica cosa che ci rimane. E non importa quanto sia doloroso il colpo di proiettile al cuore, lui continua e non si arrende, il fatto che la morte lo stia attraendo verso di sé non ha importanza, deve raggiungere quel falafel”. Gli altri applaudono. Io sono semplicemente felice di un piccolo successo scolastico, ancora una volta determinato dalla vera poesia, quella che trae ispirazione dalla vita.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
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Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
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