Alle scuole medie ero uno dei pochi ad aver acquistato il libro di educazione civica. La colpa – o, meglio, il merito – fu di mia madre che riteneva quel libro assolutamente necessario quasi più dell’antologia e del libro di storia. In classe tutti, invece, mi dicevano di aver buttato i soldi e che alcuni libri, come quello di religione, di educazione fisica o applicazioni tecniche, non erano assolutamente necessari. Il libro di educazione civica era nella lista dei volumi inutili anche perché la materia non era tra quelle più importanti. Ovviamente mi sbagliavo e con me quasi tutti i miei compagni di classe e molti dei loro genitori. La professoressa di lettere, una donna minuta ma decisa e altera, ci disse subito che avrebbe dedicato due ore la settimana all’educazione civica che lei chiamava semplicemente “civiltà” e capimmo, con il tempo, che quella era una materia davvero importante. Ci spiegò la difficoltà che hanno gli uomini nel vivere insieme, nella necessità di introdurre delle regole che dovevano essere il più possibile condivise da tutti e ci raccontò che quelle stesse regole potevano mutare nel tempo. “La democrazia non è come la religione”, ci diceva “per fortuna si può cambiare idea”. Non capivamo l’essenza di quello che la nostra professoressa ci spiegava ma intimamente ci piaceva la possibilità di poter modificare le nostre posizioni che con il professore di religione erano, per esempio, assolutamente cristallizzate. Capimmo però le difficoltà del vivere comune, di lavorare per il bene comune, di dover amministrare le cose di tutti in maniera lecita ed equa. La nostra insegnante pose moltissimo l’accento sulla bellezza di fare le cose con giudizio, di crescere senza lasciare nessuno dietro. “Gli statunitensi dicono di dare un’opportunità a tutti, ma quello è pura e semplice competizione” ci disse un giorno la nostra professoressa, “affinché tutti possano avere le stesse opportunità è necessario che le regole siano eque per tutti”. Così ci raccontò di chi morì per costruire lo Stato moderno in cui stavamo vivendo e ci spiegò quanto eravamo fortunati, come popolo, ad avere una Costituzione semplice e scritta molto bene. Capimmo che quel libro di educazione civica era davvero necessario e tutti, dopo qualche riluttanza, lo acquistarono e lo portarono in classe. Son cresciuto con il rispetto per le cose comuni, ho capito che le leggi sono alchimie complicate e servono per farci vivere meglio e che la complessità è sinonimo di bellezza. La mia professoressa di lettere mi ha fatto innamorare della Costituzione italiana, mi ha fatto apprezzare l’importanza di uno scontro dialettico, ci ha trasportato nel mondo dell’etica e della condivisione. Ci ricordava sempre che la cosa più semplice era dare ordini, la cosa più difficile rispettarli. “Ma”, aggiungeva sempre con quello sguardo severo, “chi li rispetta li ha compresi e li condivide, perché quelle regole servono per crescere in un luogo che si chiama società”. Negli anni l’insegnamento dell’educazione civica è stato abbandonato anche se hanno trovato spazio bellissimi progetti di etica, legalità, studio della costituzione. Mi trova pertanto d’accordo il ripristino della materia di “educazione civica” in tempi in cui la strada dell’etica e del rispetto per gli altri si è terribilmente smarrita. Sono convinto che i nostri giovani non siano molto diversi da quelli che siamo stati noi e anche loro hanno la curiosità di comprendere le complessità che si apprestano a vivere. Hanno anche docenti seri e preparati desiderosi di spiegare la bellezza delle regole e del vivere comune. E’ necessario un patto generazionale non tra docenti e ragazzi ma tra adulti: genitori e corpo insegnante scommettano sull’educazione alla civiltà, sulla necessità di trovare una strada dove il confronto costruttivo deve rinascere. Insegniamo prima a noi stessi e poi ai nostri figli la bellezza della democrazia, che vive di dubbi e di incertezze ma è l’unica soluzione per garantire al futuro la libertà che abbiamo avuto, conquistata con il sangue dei nostri padri. So che molti docenti diranno che l’educazione della legalità esiste ed è materia valutabile da tempo, ma so che in molte scuole la questione è più complessa. A chi afferma, invece, che i problemi della scuola sono altri rispondo che sono profondamente d’accordo, ma questo non significa che non si possa discutere anche di un piccolo problema di civiltà. Se poi sono uscito fuori tema non abbiatene a male: ho comunque ricordato a me stesso e magari a qualcun altro la dolcezza e la curiosità dell’imparare.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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