– Te gusta la banana? – sento alle mie spalle quando, percorrendo il lungo corridoio della scuola che mi porta al bar durante un’ora buca, mangio appunto una banana.
Non ho visto colleghi e quella non sarebbe comunque il genere di battuta che rientra tra i nostri scambi. Ho visto però, senza tuttavia vederle, le sagome di tre o quattro ragazzotti della V che chiacchieravano tranquilli fuori dall’aula.
Le loro risatine sommesse fanno da colonna sonora mentre racimolo i pensieri e mi trovo a scegliere in fretta tra le due possibilità che mi si parano innanzi:
1) Far finta di non aver sentito, col rischio di passare per rincoglionita, dando loro l’illusione di essere furbi e aver preso per il culo una professoressa; 2) Fermarmi e dare l’avvio a una battaglia, senza nemmeno la sicurezza di vincerla. L’autocontrollo che ho chiamato prontamente a raccolta, fortunatamente, fa sì che la terza opzione, quella di andare e assestargli un manrovescio in piena guancia, resti addormentata e riposta proprio lì dove si è generata, nella bocca dello stomaco.
Scelgo la seconda.
– Chi di voi è il simpaticone che ha fatto la battuta idiota che ho appena sentito? – chiedo con voce calma e ferma a quei ragazzoni ai quali io, che bassa non sono, arrivo all’altezza del mento. – Sono stato io, prof., ma non mi riferivo a lei – – Ah no? A chi, allora? Non vedo nessun altro che sta mangiando una banana qua intorno… – – Raccontavo di uno zio che, a un pranzo di matrimonio, chiedeva a mia cuginetta se le piacevano le banane – e se non fossi incazzata come sono quel maldestro tentativo di arrampicarsi agli specchi mi farebbe anche sorridere.
– Come ti chiami? – gli domando, con un riguardo così formale da rasentare il gelo. – Mario Rossi (nome di fantasia n.d.r.) – – Ascoltami bene Mario Rossi, tu adesso rientri in classe e io vado a prendere un caffè, poi torno e facciamo i conti! –
Quel caffè, più che ridimensionare l’accaduto e spingermi a vederlo con occhio compassionevole, me lo mostra in tutta la sua sfrontatezza. Giro il cucchiaino in senso orario dentro la tazzina e la mente torna a quelle parole, infastidita tra incredulità e insofferenza. “Te gusta la banana?” – Te lo faccio vedere io quanto me gusta! –
Esco dal bar e vado dritta nell’ufficio della Dirigente a raccontarle la vicenda.
– Preside ho annunciato a quel ragazzo delle conseguenze, per favore non facciamo che cada tutto nel vuoto perché ne va della mia credibilità. – – Ha detto così? Ma come si permette? Andiamo! – e usciamo tutt’e due dalla presidenza con passo da bersagliere.
Bussa alla porta dell’aula.
– Può uscire un attimo Mario Rossi? –
E se non fosse per quegli occhi, il cui sguardo rimbalza ripetutamente fra me e la preside, la sua faccia sembrerebbe di cera, mentre scosta la sedia dal banco.
– Mi ripeti per favore la battuta sulla banana che hai fatto quando la professoressa Fiore è passata in corridoio? – – Se vuole gliela ripeto, ma non era riferita a lei – – Faresti bene a scusarti immediatamente con l’insegnante – gli intima. – Io non mi devo scusare perché non dicevo alla prof. – risponde quello con tono strafottente. – Rossi, stai aggravando la tua posizione! – – Non c’è nessuna posizione che si aggrava perché la mia non era una battuta, raccontavo di mio zio. – – Bene, sarai consapevole che una sospensione in V ha un peso rilevante ai fini dell’ammissione alla maturità. Domani riunisco il Consiglio di Classe straordinario e prendiamo provvedimenti, puoi tornare in classe. –
E ci disperdiamo, ognuno indirizzato alle proprie incombenze. Ognuno con uno stato d’animo e una posizione differente, in quel corridoio che puzza di adrenalina.
Dopo un paio d’ore sono in III quando un “toc toc” alla porta interrompe l’interrogazione dei miei quattro alunni.
– Avanti – – Puoi uscire un attimo? – mi dice il vicepreside e dietro di lui intravedo la sagoma di Mario Rossi. – Dimmi… – esclamo chiudendomi alle spalle la porta dell’aula. – C’è questo ragazzo della V che si vorrebbe scusare con te – – E per cosa ti vuoi scusare, visto che la tua battuta non era riferita a me? – – Perché anche se non era rivolta a lei capisco che si è creato un equivoco, del quale mi scuso. – – Ti sfugge la formula, Mario Rossi: le scuse non si porgono e basta, le scuse si chiedono e si spera vengano accettate – – Vabbè, può accettare le mie scuse? – dice mesto, ma mandandomi certamente affanculo col pensiero. – Allora, diciamo che se dovessi risponderti ora ti direi di no perché considero la tua una mancanza di rispetto inaccettabile; ma siccome capisco che sei in V e una sospensione sarebbe una spada di Damocle, facciamo che stanotte ci rifletto e domani ti do una risposta. –
L’indomani mattina arrivo a scuola coi miei soliti 10 minuti di anticipo, nell’atrio mi viene incontro la bidella:
– Professoressa, c’è un alunno che la cerca. – – Ah sì, un alunno della V A? – – Eja, mischinu… è qua dalle 7.30 –
Quelle scuse le accetto, naturalmente. E le avrei accettate anche ieri, se solo il pensiero della sua notte in bianco non fosse stato così ghiotto. “il sonno dei giusti, lasciamolo ai giusti” mi ripeto sottovoce, mentre sorrido e gli stringo la mano.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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