A proposito del caso ambientale nato dai concerti in spiaggia di Jovanotti, mi è tornata alla memoria una vicenda simile di cui fui, in qualche modo, protagonista.Riguardava, e riguarda, la Sardegna e la mercificazione delle spiagge con tutta la conseguente devastazione degli ecosistemi.Quanta gente, ogni giorno, affolla spiagge troppo piccole perché possano sopportare il carico di migliaia di persone nello stesso momento?Qualche comune sardo si sta ponendo il problema e ha istituito il numero chiuso, altri fanno finta di non vedere. Ma prima o poi dovranno aprire gli occhi.E, in ogni caso, bisognerà una volta per tutte fare chiarezza su ciò che sulla battigia si possa o non possa fare.
Era la fine di ottobre del 2004. Mio figlio mi chiese di passare la mattinata in spiaggia e io lo portai a Romazzino, nel pieno della Costa Smeralda.Ho ancora bene impresso il mio stupore quando ebbi sotto gli occhi quella spiaggia, un posto che mi è sempre stato molto familiare.Era una specie di tabula rasa, un piazzale brullo da cui erano misteriosamente scomparse dune e sabbia. In mezzo a questo deserto si apriva ogni tanto una voragine, fosse di cui non mi spiegavo l’origine.Era irriconoscibile.Chiamai un amico, titolare di un albergo nei paraggi, per chiedergli se fosse a conoscenza di questo per me inspiegabile disastro. Mi indirizzò verso una signora di Abbiadori che, a suo dire, sapeva tutto.
Raggiunsi questa signora e lei mi raccontò una storia alla quale, lo ammetto, non credetti.Per farla breve, mi spiegò che alla fine della stagione turistica sabbia e posidonia venivano caricati con le ruspe da cantiere su un camion, trasportate in una località di campagna ai confini della Costa Smeralda, abbastanza isolata per essere al riparo da occhi indiscreti, e scaricate in una enorme radura in mezzo alla macchia mediterranea. Le spiagge venivano poi ripasciute con sabbia importata dalle cave, ma questo lo scoprimmo solo quando venne aperta l’inchiesta giudiziaria.
Andai nel luogo indicatomi e, davvero, non potevo credere ai miei occhi. Voi immaginate un campo da calcio riempito con cataste di sabbia marina mista ad alghe, dimostrazione chiara che la signora non mi aveva detto altro se non la verità.
Allora lavoravo per un quotidiano appena fondato da Nichi Grauso, Il Giornale di Sardegna. Il giorno dopo pubblicammo la notizia in apertura, con tanto di foto scattate da me medesimo con mezzi di fortuna ma che, oltre ogni ragionevole dubbio, dimostravano la veridicità di quanto avevo scritto nel mio articolo.
Come vi ho anticipato, la Procura della Repubblica di Tempio aprì un’inchiesta che, tra l’altro, permise di stabilire che in quella discarica erano stati gettati (“stoccati”, minimizzavano i responsabili) circa diecimila metri cubi di sabbia. Sono passati quasi vent’anni, ma credo che alcuni degli indagati siano poi anche stati giudicati colpevoli dei reati loro contestati.
Per una serie di complesse motivazioni che sarebbe lungo e pericoloso spiegare in questa sede, il caso non ebbe l’enfasi che ritengo avrebbe meritato.E lo capii qualche giorno dopo, quando la questione venne discussa nel Consiglio comunale di Arzachena. L’assemblea stabilì che il vero guaio non era il disastro ambientale e lo stravolgimento definitivo degli ecosistemi delle spiagge, ma il fatto che un giornalista avesse reso pubblico un caso che agli amministratori non sembrava in effetti così grave.Ricordo la minaccia di querela che mi giunse dall’allora assessore all’Ambiente, di professione costruttore edile, promessa che però rimase tale.
Perché tutto questo accadde?Perché le spiagge sono la cartolina del turismo e debbono sempre essere lustre e conformi a quel modello caraibico che le vorrebbe candide e immacolate. La presenza di posidonia oceanica, così importante per quell’ambiente, non è ammessa.
I ritmi del turismo sono incalzanti, ossessivi, troppo frenetici perché le sequenze fisiologiche della natura possano essere rispettate.La spiaggia è uno strumento dell’industria turismo, troppi riguardi non ce li si può permettere.Scoprii col tempo altri casi clamorosi di questa barbarie, uno per tutti la distruzione delle antiche dune di una spiaggia nascosta tra le insenature del Grande Pevero, altra spiaggia della Costa Smeralda: dove una volta si alzavano sinuose quelle morbide onde di sabbia, qualcuno ebbe la sfrontatezza di piantare un prato con tanto di impianto di irrigazione.
La spiaggia è un posto su cui stendere una stuoia, non un complesso ambientale da proteggere.E allora ruspa, impegno che qualcuno applicò in questo campo molto prima che certa politica ne facesse slogan.
Non deve perciò sorprendere che, data questa mercificazione del bene, sul bagnasciuga ci si possano anche organizzare concerti e che, quando l’artista viene chiamato a rispondere delle conseguenze di quell’iniziativa, abbia la sfrontatezza di dire “ma noi alla fine abbiamo ripulito tutto”.Peraltro, sulla spiaggia di Romazzino su cui si basa questo post, nel 2014 una coppia di libanesi fece montare un gigantesco palco sul quale una rockstar di una certa fama cantò mentre, sulla battigia, si teneva il ricevimento di nozze dei suddetti libanesi.Anche in quel caso la vicenda finì in tribunale, ma tutti gli indagati vennero assolti.
Torno a quel 2004.Per qualche anno il dibattito restò comunque vivo e, se non altro, l’importanza di una pulizia sostenibile delle spiagge divenne costante argomento di discussione. Ma poi le preoccupazioni vennero dimenticate e i trattori hanno ripreso a battere le spiagge, lasciandovi ampi solchi che vengono persino mostrati in fotografie dagli appositi uffici stampa.Con grande soddisfazione, prova tangibile delle amorevoli cure verso il prezioso litorale.
Quel che voglio dire, in definitiva, è che in questi delicati contesti non si può lasciare mano libera all’industria turistica né a quella dell’intrattenimento musicale. Perché i loro interessi non coincidono con quelli del Creatore e nemmeno coi nostri.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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