Questo post non ha una morale finale edificante né pretende di portare un qualche insegnamento. Se non che l’inganno è strategia vincente, molto più quando viene rivelato che nell’esistenza del subbio. Per un certo periodo della sua vita, Donald J. Trump ha telefonato alle redazioni dei giornali spacciandosi per l’inesistente John Barron e presentandosi come alto dirigente delle sue stesse aziende. Perché questa messinscena? Trump voleva essere considerato molto più ricco di quanto in realtà fosse. Il primo a scoprirla, anni dopo, fu un giornalista della rivista Forbes, il magazine che ogni anno stila la classifica degli uomini più ricchi del mondo. Nel 1984 Trump aveva saputo che Forbes stava preparando l’elenco e che lui, Trump, non ne faceva parte. Andò su tutte le furie. Peraltro senza ragione, perché al tempo il giovane Trump era nulla più che un agente immobiliare che finanziava le sue operazioni a New York grazie alle generose elargizioni di Fred, il facoltosissimo padre che spesso correva in suo soccorso. Insomma, Trump aveva bisogno di mettersi in contatto con Forbes. Mandò in avanscoperta Roy Cohn, il suo avvocato. Cohn era stato, negli anni cinquanta, il pupillo del senatore McCarthy, lo stesso che inventava le false cospirazioni dei comunisti negli Stati Uniti. Trump conobbe Cohn quando, nei primi anni settanta, venne mossa un’azione legale nei confronti dell’azienda di famiglia: si sospettava che in un residence dei Trump fosse impedito l’acquisto di appartamenti a persone di colore. Cohn difese i Trump, ma perse la causa. Restò comunque in rapporti strettissimi con Donald fino quasi alla morte, avvenuta nel 1986. Torniamo alla telefonata. Cohn contattò Forbes, spiegando che le informazioni sulla ricchezza di Trump erano gravemente sottostimate e annunciando la telefonata di un manager della società del suo cliente. Ed ecco che entra in scena, a quel punto, il non meglio precisato direttore di casa Trump, certo John Barron. Il quale contatta il giornalista ed elenca tutti i beni, i flussi di cassa e la liquidità dell’attuale presidente degli Stati Uniti. Non c’era praticamente nulla di vero. Anzi, di lì a pochi anni Trump sarebbe finito sull’orlo della bancarotta per l’avventuroso affare del casino aperto ad Atlantic city. Non essendo le società di DJT quotate in borsa, accertare la verità era praticamente impossibile. E solo dopo qualche anno si scoprì che Barron non esisteva, se non come personaggio inventato e interpretato da Trump. Siccome il giornalista registrava tutti i suoi dialoghi telefonici, riuscì a trovare la cassetta con quel colloquio e a scoprire una verità che gli americani conoscono da tempo. Sul sito del Washington post, per dire di una testata, trovate la registrazione. Io di questa farsa ho saputo dopo aver visto un molto ben fatto documentario realizzato da History channel, costruito sulle testimonianze di persone che a vario titolo hanno avuto a che fare col rampante giovanotto. Lo stesso documentario dove si ascolta un’intervista a Trump in un talk show del 1980. Trump espone il suo manifesto: il potere si conquista con lo show business, cercando di apparire il più possibile e di essere quanto più possibile percepiti come vincenti. La verità è un’altra cosa, ammesso che esista. Ho fatto cenno, qualche riga in alto, al casino (con l’accento sulla O finale) aperto ad Atlantic city, la cui gestione Donald aveva affidato alla prima moglie, la cecoslovacca Ivana. L’impresa finì con una valanga di creditori mai pagati e ridotti sul lastrico. Prima di questo epilogo, nel 1988, il Wall street journal chiese all’analista finanziario Marvin Roffman una sua valutazione sulla riuscita del casino di Atlantic city. Roffman spiegava come l’impresa fosse molto difficile, previsione poi rivelatasi azzeccata. Trump contattò la società per la quale Roffman lavorava e minacciò azioni legali, se Roffman non fosse stato cacciato o se non avesse presentato delle scuse. Roffman non accettò di scusarsi e perse il suo lavoro.
Nel 1998, Trump chiuse con un atteggiamento una causa collettiva aperta verso la sua società da alcune decine di operai polacchi. Questi operai, secondo la denuncia, erano immigrati clandestini arrivati nel 1978 dall’est Europa per lavorare nel cantiere della Trump plaza, la gigantesca torre sulle quinta strada che è il simbolo più vistoso della famiglia. Questi operai lavoravano 12 ore al giorno per quattro dollari l’ora, assunti in nero da un signore che anni dopo avrebbe fatto della lotta all’immigrazione clandestina un suo vessillo.
Ho messo insieme tante cose, forse senza un nesso logico che leghi l’una all’altra. Cose conosciute da tutti, negli Stati Uniti. Ma in questa mancanza di logica c’è, a mio avviso, la politica dei nostri giorni. Non contano i fatti, conta essere vincenti o sembrarlo. Quel che vediamo oggi in Italia è un riflesso. Tanti John Barron che nascondono la loro vera identità.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.020 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design