Il personaggio di oggi è Matteo, il bambino che senza volerlo ha scatenato un putiferio sul web che era dai tempi di je suis Charlie che non si vedeva. A tratti sembrava che fosse in corso una battaglia finale, tipo Armageddon. Nelle ultime ore ho visto, come altre volte, il lato brutto della rete, quello che spesso non vedo perché probabilmente ci viaggio sopra intruppato anche io. La prima cosa che salta, quando si viaggia intruppati, è la lucidità di guardare le cose nel loro insieme. La prima cosa che muore, quando nell’aria c’è il rumore ancestrale del tam tam, è la complessità delle storie che finiscono nel tritacarne (dove le storie sono quelle di qualcun altro e il tritacarne siamo noi, ognuno col suo piccolo contributo di sapienza cinica). La storia, dunque: in una terza elementare, durante un lavoro sugli aggettivi, Matteo scrive che certi fiori sono più petalosi di altri. La maestra gli corregge l’errore, perché “petaloso” non è una parola del vocablario; ma poi ci scrive sotto una cosa preziosa: “errore bello”. È una cosa preziosa che gli adulti possano vedere bellezza negli errori dei bambini. Perché di bambini, e della loro fantasia, stiamo parlando. Gli errori vanno segnalati e corretti, ma quando un errore esce dalla fantasia di un bambino, potete star certi che dietro quell’errore ci sono foreste di tentativi, una forsennata ricerca di tutte le possibilità immaginabili. Dietro quell’errore c’è l’evoluzione che spinge, miliardi di anni di evoluzione che ancora non si è stancata di provare, di sbagliare e di continuare a provare, alla ricerca di strade sempre nuove. E nessun adulto è così colto e intelligente da potersi permettere il lusso di fare lo stronzo con un bambino che sbaglia. Perché ogni adulto non è che una somma di errori tenuti insieme con lo sputo, che la natura provvederà a cancellare nel giro di pochi decenni, per lasciare spazio a tentativi ulteriori di far le cose per bene. E la lingua, in questo bollire di vita, c’è dentro fino al collo. La storia prosegue con la maestra che invita Matteo a chiedere un parere all’Accademia della Crusca. Nell’Italia devastata da anni di berlusconismo, la Crusca appare a molti come un covo di tromboni che non hanno un cazzo da fare tutto il giorno. In realtà la Crusca è per la lingua italiana quello che per la scienza è il CNR. E la Crusca risponde a Matteo e gli dice: “Caro Matteo, la parola che hai inventato è una parola ben formata e potrebbe essere usata in italiano come altre parole simili (peloso, coraggioso ecc) […] Sai come fa una parola a entrare nel vocabolario? […] Bisogna che molte persone la usino e la capiscano. […] Allora petaloso sarà diventata una parola dell’Italiano e potrà essere inserita nei vocabolari”. E ancora: “È così che funziona: non sono gli studiosi a decidere quali parole nuove sono belle o brutte, utili o inutili. Quando una parola nuova è sulla bocca di tutti o di tanti, allora lo studioso capisce che quella è diventata una parola come tante e la mette nel vocabolario”. La lettera si conclude col suggerimento di un libro di approfondimento e la segnalazione, alla maestra, dei servizi di consulenza della Crusca. La maestra, Margherita Aurora, così come fanno migliaia di insegnanti ogni santo giorno, a questo punto decide di condividere su Facebook quanto accaduto, e scrive: “Qualche settimana fa, durante un lavoro sugli aggettivi, un mio alunno ha scritto di un fiore che era ‘petaloso’. La parola, benché inesistente, mi è piaciuta, così ho suggerito di inviarla all’Accademia della Crusca per una valutazione. Oggi abbiamo ricevuto la risposta, precisa ed esauriente. Per me vale come mille lezioni di italiano. Grazie al mio piccolo inventore Matteo”. Fin qui la storia. Il web, se lo guardiamo in controluce alla ricerca delle interazioni tra adulti e bambini, somiglia alle nostre città, quelle in cui i bambini non hanno spazi, vengono visti come un fastidio o al massimo come creature da proteggere tenendole fuori. Oppure ricorda quelle feste per adulti, mondane, noiose, a cui gli adulti devono partecipare per forza e a cui trascinano con sé anche i bambini, che restano in un angolo ad spallarsi (termine che fino a pochi anni fa non esisteva), o finiscono addormentati sul primo divano che trovano. Ecco, ieri il web ha trattato Matteo esattamente in questo modo. Molti, distratti o svogliati, non hanno capito quello che era successo, non hanno colto il succo della storia e si sono soffermati su quanto sia cacofonico il termine, su quanto sia inutile, su quanto sia facile fare altrettanto. E ci sta. Ma a parte questi casi, io ho letto adulti dare dell’analfabeta a un bambino, li ho visti che gli davano del “merdoso neologista”; e solo perché questo bambino aveva avuto il suo quarto d’ora di notorietà per la botta di culo, se vogliamo, di finire sotto i riflettori nel posto giusto e al momento giusto. Minchia, apriti cielo. A un certo punto sembrava di stare in mezzo a esperti linguisti, a consumati filologi. Tutti a dire che “petaloso” era una stronzata e che la maestra non aveva fatto bene il suo lavoro. Nessuno che si sia fatto venire la voglia di leggere bene la storia. Nessuno che si sia reso conto che ad approvare il termine non è stata Maria de Filippi ma l’Accademia della Crusca. Nessuno che abbia controllato i fatti. Chi dice che l’analfabetismo funzionale è un problema da non prendere sottogamba, ha ragione da vendere. Credo che nessuno di noi sia veramente immune da questa frenetica pigrizia che ci rende incapaci di approfondire anche le storie semplici. Tutti si sono messi a gareggiare per superare gli altri in severità, in distacco, in autonomia sentimentale. Come se a questo mondo non ci fosse più nulla da inventare, nulla di cui meravigliarsi, neanche una parola nuova o una parola vecchia che torna a galla dopo secoli di sonno. Nulla. Quel che conta è il presente, quel culo d’imbuto stretto in cui ci piace tanto pigiarci uno contro l’altro, per rassicurarci sulla tenuta delle nostre certezze, dei nostri ridicoli “io so”. È bastato un Matteo qualunque, però, a tenerci impegnati per tre giorni a parlare di una parola che forse neanche esiste, e che se esisterà sarà forse grazie alla cagnara creata, a quelli che l’hanno apprezzata e a quelli che l’hanno trovata brutta, inutile, cacofonica. La Crusca l’aveva detto: una parola finisce nei vocabolari quando molte persone la usano. Ieri “petaloso” è stata la parola chiave più usata su internet in Italia. La lingua ha vinto un’altra volta, dimostrando di essere viva e di alimentare con i suoi sussulti i sogni e i mal di pancia di tutti noi. Isidoro di Siviglia lo aveva detto millecinquecento anni fa: Ex linguis gentes, non ex gentibus linguae exortae sunt. Non sono le lingue a nascere dai popoli, ma sono i popoli a nascere dalle lingue. Matteo ieri ha fatto una cosa bella, e anche chi non era d’accordo e non è in grado di ammetterlo, gli ha dato una mano a realizzarla. Petalosi!
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
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