“L’Italia è uno dei più grandi amici di Israele e la tua è una visita storica. Israele è legata all’Occidente e Roma e Gerusalemme hanno gettato le basi della cultura occidentale”, disse Netanyahu al premier italiano.
Il premier italiano rispondeva: “C’è ancora oggi chi mette in discussione l’esistenza di Israele: bene, noi ci opporremo tutti insieme come Comunità internazionale affinché ciò non possa assolutamente mai accadere …”
Era il 2010 e Netanyahu accoglieva Berlusconi al parlamento israeliano, chiamandolo “Caro Silvio”.
A leggere le ricostruzioni della trasferta mediorientale del nostro attuale premier viene in mente come il “caro Silvio”, probabilmente, sia per Renzi una fonte d’ispirazione non solo per questioni di politica interna – vedi nuova crociata anti tasse – ma una buona base d’appoggio anche in materia di affari internazionali.
Confrontare, per credere, i pezzi della stampa del 2010 e quelli di 5 giorni fa. Poco da stupirsi, dal momento che il contributo dell’Italia riguardo la crisi Israele/Palestina si traduce in una veloce sfilata alla Knesset- in cui i deputati israeliani si sentono dire niente di più di quello che vogliono sentirsi dire, anche a rischio di annoiarsi – e al museo Yad Vashem.
Il canovaccio prevede i soliti punti: l’ossessione sicurezza di Israele, che porta ai riferimenti all’antisemitismo, che chiamano al pericolo Iran.
A dire il vero, Berlusconi nel 2010 utilizzò la veltroniana tecnica che imponeva di non nominare l’antagonista, e per riferirsi alla Repubblica Islamica usò l’espressione generica di “Male”.
Renzi difende con prudenza l’accordo sul nucleare, memore probabilmente del fatto che prima delle sanzioni l’Italia era il quarto importatore di petrolio iraniano. E quando Netanyahu prontamente ricorda che l’Iran è comunque un pericolo, lo fa perché sa bene che nessun premier italiano potrà rammentargli che “l’unica democrazia del Medio Oriente” possiede anche l’esercito più potente della regione.
Di questi incontri rimangono anche strane frasi da decifrare: “Sarò franco e brutale: la vostra sicurezza è la nostra sicurezza perché condividiamo lo stesso destino”; “L’esistenza di uno Stato di Israele non è una gentile concessione della comunità internazionale dopo la Shoah, ma precede di secoli ogni accordo internazionale”(Renzi, 2015). “Abbiamo l’orgoglio di essere noi, con la cultura giudaico-cristiana, alla base della civiltà europea” (Berlusconi, 2010). Frasi che una volta spogliate della loro debole retorica, nel migliore dei casi non vogliono dire un bel niente e, nel peggiore, sono delle assurdità.
Anche il finale è sempre lo stesso. Quando i riflettori si sono quasi spenti, i premier italiani si dedicano ad Abu Mazen. Al quale non restano che gli avanzi del repertorio: “L’Italia persegue la soluzione di due popoli/due stati. È l’unica che per noi può condurre a un risultato”, e per gentilezza, qualche altro riferimento biblico: “Da parte dell’Italia c’è tutta la disponibilità a continuare a investire nell’amicizia con il popolo palestinese per raggiungere la pace dei figli di Abramo”.
Tirando le somme, nella ricerca di una qualche differenza sostanziale, non ho trovato nulla di meglio che delle fotografie. A capo scoperto Matteo Renzi, il “Caro Silvio” con la calvizie nascosta dalla kippah.
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