(Scritto nel febbraio 2012)
Conosco una collega che ha lavorato per qualche anno nello staff di un potentissimo politico sardo. Non semplicemente un collezionista di incarichi e poltrone: parliamo di un demiurgo delle istituzioni, uno di quelli che decide, ordina e dispone le grandi scelte negli enti della Sardegna. Anche e soprattutto senza apparire in prima persona. Questa collega mi ha raccontato la sua esperienza ridendoci sopra, snocciolando un episodio grottesco dopo l’altro. Attraverso questo ricordare divertito io ho capito per davvero come si costruisce il potere. Giorno per giorno, posando un mattone sopra l’alto fin quando non sei in cima al tuo grattacielo. Occorrono metodo, dedizione, un’ambizione feroce, totale mancanza di scrupoli e la capacità di trasformare in moneta sonante sofferenze e debolezze di chi viene a supplicare aiuto con le mani giunte. Raccomandazioni per un lavoro, per una pensione d’invalidità o per sbloccare una pratica impantanata nelle sabbie mobili della burocrazia. La prima lezione che la collega ha dovuto imparare e che chiunque si presentasse alla porta dell’assessorato andava ascoltato, anche quando si trattava di richieste assurde. C’era sempre una risposta per tutti. “Ci ritrovavamo gli uffici pieni di gente, spesso governare il traffico era davvero impossibile. Ma avevamo l’ordine di non mandare via mai nessuno”. La collega era retribuita dall’ente per occuparsi dell’ufficio stampa. Invece “io e gli altri dello staff passavamo le mattinate ad ascoltare questa gente e a prendere nota delle esigenze di cui volevano interessare il capo. Quando stanze e sale non bastavano, eravamo costretti a fare il colloquio in bagno. Su un foglietto trascrivevo nome, numero di telefono e qualche riga sulla richiesta. A fine giornata ci ritrovavamo tutti attorno ad una scrivania e cacciavamo di tasca i nostri pizzini. A quel punto interveniva lui ed esaminava queste preghiere una ad una, minuziosamente. Poi smistava tra i suoi collaboratori gli incarichi per esaudirle”. Buona parte del tempo dell’attività istituzionale veniva speso per intrecciare una rete di clientele sempre più estesa, allargando quanto più possibile la sfera di influenza nei vari ambiti. “Per evitare liti e discussioni tra la gente in coda negli uffici, ad un certo punto fummo costretti ad installare le macchinette eliminacode, come fossimo al supermercato. Ma non c’era altra soluzione”. Ai rapporti con certa stampa insidiosa, invece, pensava lui personalmente. “Un giorno arrivò in assessorato un giornalista dal Sulcis che aveva concordato un’intervista col capo. Lui, il capo, sapeva che questo era tutto d’un pezzo, ammorbidirlo non sarebbe stato facile. Allora gli offrì un’acquavite, quello rifiuto ma lui fu tanto insistente che alla fine l’intervistatore fu costretto a cedere. Ne uscì ubriaco e, mentre tornava in redazione, ebbe anche un piccolo incidente”. Con questi sistemi, oggi, il capo è uno dei politici più potenti della Sardegna. Ma non so quanto alla Sardegna sia giovato.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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