L’altro giorno il corriere mi ha portato un pacco con su scritto “Feltrinelli”. Sapevo che era in arrivo. Il corriere non ha fatto in tempo ad uscire che l’involucro era già aperto e il contenuto frusciava tra le mie mani. Due anni fa Sardegnablogger uscì con un mio pezzo intitolato “In giro con Boetti”. Raccontavo di una telefonata, dell’incontro con una persona che non conoscevo e di alcuni itinerari a piedi e in barca tra le isole dell’Arcipelago. Ero stato contattato, non da uno qualunque, per fare la cosa che mi riesce meglio: accompagnare e raccontare, portare la gente a caccia di sentieri, piante e animali da fotografare, rocce a cui girare attorno per scoprire la più evocativa tra tutte le forme che sono in grado di assumere. Quei giri durarono circa una settimana e l’autore della telefonata, Gian Luca Boetti, andò via soddisfatto. Boetti è uno dei più quotati autori di pubblicazioni dedicate al trekking naturalistico. Si diverte così, lui. Gira l’Italia (ma non solo), alla ricerca di cose belle che non siano raggiungibili in macchina, e monta su dei lavori mostruosi per impegno, preparazione, numero di persone e enti coinvolti, cose raccontate o anche solo accennate, lasciate intendere. Torinese, aria da montanaro, non è un amante della tecnologia. Ogni tanto cede al digitale ma quasi tutti i suoi scatti sono su pellicola. Ha un cellulare di quelli che probabilmente i miei figli neanche sospettano possano essere esistiti, ma quanto a capacità di organizzare le spedizioni è un professionista assoluto. Quando ci siamo incontrati, nella primavera di due anni fa, stava lavorando a un libro sui sentieri delle isole minori d’Italia. Nel pezzo che scrissi allora feci solo un vago cenno alla cosa, per non bruciare l’idea prima che uscisse. Ora che “Isole minori d’Italia – I sentieri più belli” è in edicola, ne posso parlare volentieri. Anzitutto per confermare una sensazione provata lavorando con Luca in quella settimana di uscite, e nei mesi successivi, tra telefonate, mail, correzioni, riscritture, dubbi dell’ultimo minuto. Sfogliando il libro mi rendo conto infatti che non è stato scritto da Boetti, ma dalle isole che ha visitato. L’autore si è limitato a intervistarle, ma la voce di questi pezzi d’Italia immersi nel mare sale da ogni pagina, da ogni foto, da ogni particolare. Scorrendo velocemente le immagini si capisce di quale straordinaria varietà siamo custodi, e quanto le isole minori contribuiscano a disegnare l’identità del paesaggio italiano. Gli scorci ritratti hanno lo stesso timbro di voce. Il mare, i muri a secco che tagliano il verde ruspante della macchia, i borghi colorati, le fioriture, suggeriscono che il tema del libro sia un unico luogo, uno soltanto. Invece si tratta di 14 nuclei insulari tra Toscana, Liguria e Sardegna, accomunati da qualcosa di persistente che però non si lascia ingabbiare da facili schemi: la sfuggente anima del Mediterraneo, la civiltà sparsa del più grande lago salato, la Babele di accenti del più piccolo oceano della Terra impastano le isole descritte dal libro e ne fanno un mondo unitario, strutturato, in cui sembra strano che i pescatori non si conoscano tutti tra loro, che i santi eremiti non abbiano condiviso le stesse grotte, che le capre non si siano dovute mai contendere neppure un cespuglio di spine. E sembra strano che dopo migliaia di anni, queste isole così piccole e così vicine al cuore della civiltà siano ancora in gran parte sconosciute. “Eπὶ οἴνοπα πόντον”, diceva Omero nell’Odissea, “sul mare color vino”. Questa bellissima idea mi ha fatto sognare per anni chissà quali avvisaglie di burrasca, e chissà quali spettacolari tramonti macchiati di nuvole e attraversati dall’Argo o dalla nave di Ulisse. La genesi di quella descrizione, tuttavia, potrebbe essere prosaica. Pare che i Greci non avessero il concetto di blu e pare che tra gli antichi fossero in ottima compagnia: l’idea di blu potrebbe essere una conquista moderna. Trovo sconcertante che quello stesso colore così familiare che fa pensare a Spargi guardando Montecristo, o all’Asinara mentre si osserva Giannutri, in realtà sia roba recente, bagaglio linguistico e mentale affiorato tra le cose ovvie solo qualche secolo fa. E mi chiedo, ma guardando il mare delle Bocche, i Greci che andavano a fondare Marsiglia, ma cosa vedevano? Come lo chiamavano quel colore? Che tipo di pensieri portava loro a galla? Non lo so e fatico a rassegnarmi all’idea. Probabilmente, se Omero avesse letto il libro di Boetti, l’Odissea sarebbe stata ancora più ricca di spunti. È anche vero però che quella strepitosa immagine del mare color del vino non sarebbe arrivata fino a noi, permettendoci, mentre sfogliamo “Isole minori d’Italia”, di provare a guardare tutto quel blu con altri occhi.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
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Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
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