Ipazia si è stufata. I Campi Elisi alla fine somigliano al paradiso cristiano: ci si rompe un po’ le balle. In Paradiso frotte di anime stanno in agguato sulle nuvole e attaccano l’inno ogni volta che se ne squarcia una, sino a quando qualcuno non dà il cessato allarme perché era soltanto un santo minore o un trasporto passeggeri fuori rotta. Negli ultimi millenni Dio si sarà fatto vedere due o tre volte; ha salutato con il braccio sollevato e muovendo la mano a cucchiaio, come i democristiani, e se n’è andato subito. Nei Campi Elisi almeno si scopa, ma alla fine anche quello viene a noia. Capirai, per una donna raffinata come Ipazia il numero, a esempio, con il dio Pan e i suoi satiri non è il massimo. Soprattutto quando lui pesta arrapato gli zoccoli sulle aiuole fiorite dell’Arcadia e le dice: “Ora ti dipingo addosso un pigiama di saliva, culona mia”. Insomma, quando è arrivata lì da Alessandria dopo che i fanatici del vescovo Cirillo l’avevano fatta a pezzi, Ipazia si è ricomposta e per un po’ si è goduta gli ozi sfrenati. Poi ha ripreso a studiare matematica e ha scoperto che come dalla terra poteva studiare il cielo, dal cielo poteva studiare la terra; aiutandosi per di più con un tubo donatole da Galileo, con cui aveva stretto amicizia sorseggiando cognac e fumando sigari nei salottini dell’esclusivo club Martiri del Cristianesimo, nel senso di martirizzati dai cristiani. Le osservazioni sulla terra si sono dirette soprattutto sulla Chiesa dopo il vescovo Cirillo e qualche tempo fa, con l’ingresso dei bersaglieri a Porta Pia, le era sembrato che qualcosa si stesse muovendo. Non è che volesse proprio una vendetta, però, insomma, un certo redde rationem le avrebbe fatto piacere. Ma poi, tra Patto Gentiloni del ‘13, Patti Lateranensi del ’29 e subito dopo Giovannardi, Ratzinger, Socci e Brosio, si è accorta che non cambiava niente e ha riposto il tubo con i vetri. Sino a quando, pochi decimi di secondo fa (nei Campi Elisi il tempo si conta diversamente; anzi, non conta un cazzo), qualcuno non ha cominciato a parlarle di Bergoglio. Sulle prime è stata a sentire con la sua consueta cortesia ma dicendo tra sé: “Sì sì, le solite frottole, poi è come tutti gli altri”. Ma quando ha sentito dire che il Papa difende omosessuali e divorziati, persino le donne e dubita dei veggenti di Medjugorie, pietre angolari sulle quali, a parte le balle, si fonda la Chiesa, allora Ipazia comincia a seguire la faccenda con maggiore interesse. “Ma questa volta niente tubo di Galileo – si impone -, voglio vedere di persona”. Mette in borsa due straccetti per cambiarsi quando arriva sulla Terra e prima passa in Paradiso a prendere Cirillo. Non è che gradisca fare il viaggio insieme a lui, ma, raffinata come è lei anche nelle vendette, gli vuole infliggere la rabbia di conoscere un capo della Chiesa tanto diverso da lui. In Paradiso mostra i documenti e la fanno attendere nel Limbo. Dopo un po’ si presenta un funzionario cortesissimo -Sono lieto di questo incontro, professoressa, ho sentito parlare di lei ma non avevo mai avuto il piacere di conoscerla. E la informa che Cirillo vive sin dalla sua morte (Ipazia, da brava platonista, apprezza l’ossimoro) all’Inferno. -Ma come, infine è stato punito per avermi fatto squartare? Non lo sapevo. -Veramente, sa, professoressa, per quello l’abbiamo perdonato. -E allora? -Il fatto è che Cirillo, oltre a questa storia di ammazzare i pagani e soprattutto le donne colte e indipendenti, sulla quale si può chiudere un occhio, aveva anche la debolezza di toccarsi mentre spiava la perpetua che pisciava: su questo non abbiamo potuto transigere. Ipazia va quindi all’Inferno e si presenta. La accoglie un demonio straordinariamente somigliante al dio Pan, tanto che lei prova un certo imbarazzo e, ogni volta che per il nervoso accavalla le gambe, ha sempre la sensazione che lui le stia guardando le cosce. Ma il diavolo mantiene un atteggiamento assai composto -Sì, il vescovo Cirillo è nostro ospite. Desidera che la accompagni da lui? Attraversano qualche girone dove tra i fantastiliardi di dannati Ipazia vede con la coda dell’occhio alcuni di quelli che l’avevano sbudellata con i cocci taglienti, ma fa finta di niente e guarda davanti sino a una porta dove la sua guida le cede il passo -Prego, professoressa. Cirillo è seduto in una stanzetta sobriamente arredata insieme a un gruppo di demoni. Ha gli occhi iniettati di sangue e il viso tirato, anche se non sembra che alcuno lo sottoponga a percosse, trattamenti con tenaglie, bagni di pece infuocata o altra roba così. Ma a un certo punto la combriccola gli si fa intorno agitando dei rosari e salmodiando -Nel terzo mistero glorioso si contempla San Cirillo che col cazzo a spillo inculava i microbi. E giù a sghignazzare mentre Cirillo piange lacrime di rabbia -Maledetti, quanto durerà questa tortura? -Questa è la sua pena eterna-, informa la guida rivolgendosi a Ipazia. La scienziata è perplessa -Non mi sembra granché di pena. Peggio per lui che se la prende per una stupidata da terza elementare. -Stupidata?- fa la guida con un sorriso appena accennato. Si avvicina a Cirillo e cortese gli ordina -Monsignore, si sollevi la tunica-. Lui esita guatando Ipazia con odio e imbarazzo. -Monsignore!-, ripete la guida con tono più deciso. Cirillo obbedisce e scopre il pene. Ipazia resta di sasso. L’arnese è lungo e grosso quanto una Camel senza filtro. -Ed è pure eretto perché lei ha sempre avuto il potere di eccitarlo-, dice la guida a Ipazia. Quindi, a Cirillo -Si copra pure, Monsignore. Ipazia si impietosisce -Ma è tremendo. Rinfacciargli per l’eternità il suo difetto. Inumano. -E infatti non siamo tra uomini-, le ricorda la guida. Lei annuisce gravemente. L’amministrazione concede a Cirillo una breve licenza per accompagnare Ipazia sulla terra. Ma come viatico gli aguzzini gli giocano uno scherzo facendogli credere che arriverà a Roma in pieno Rinascimento. -Deve indossare abiti acconci, monsignore-, e gli appioppano un paio di braghe aderenti con la conchiglia davanti per sfotterlo non appena le indossa: -Miracolo, ti è cresciuta la ciribiccola! Intraprendono il viaggio. Ipazia davanti e Cirillo, ripresa la vecchia tonaca, tre passi dietro che procede a testa china borbottando bestemmie e ogni tanto sbirciando il culo della filosofa e leccandosi le labbra. Cammina e cammina, Ipazia e Cirillo vedono un lumicino. Anzi, tanti lumicini. Atterrano a Fiumicino sulla pista più vicina alla stazione dei taxi e salgono su una vettura bianca con la scritta “Taxi” sul tettuccio. Ipazia chiede. -Servizio Roma Capitale? -No, abusivo. -Scusi, allora perché ha le insegne del servizio regolare? -Nun so’ cazzi che te premono, sciacquetta. Cirillo ha paura del tassista e commenta sottovoce. -Che maleducato. Ma il tassista ha orecchie buone. -Mosca tu, che se te vede la morte se gratta, co’ quella barba riccia e la faccia da iettatore. A tutti patti, se volete anda’ a Roma so’ novanta euri. Ipazia si fruga nella borsetta e scopre di avere pochi spiccioli: tre silique, un nummo e tre sesterzi, tutta roba probabilmente fuori corso. Guarda interrogativamente Cirillo che solleva le spalle. -All’Inferno non possiamo tenere denaro. A me fanno la perquisizione anale ogni ora. -Ogni ora? -Ogni ora. -Ti hanno mai trovato niente? -Mai. -E continuano? -Regolarmente. -Ti sei mai voltato per vedere con che cosa ti perquisiscono? -No, è proibito. -Va bene. -Ma perché me l’hai chiesto? -Niente, per curiosità. -No, dimmi perché me l’hai chiesto. Ma Ipazia cambia discorso e comunica al tassista che non hanno di che pagare la corsa. Quello ferma l’auto e proprio in quel momento li raggiunge trafelato un signore in gonnella rossa, mantellina da viaggio di velluto bordato di pelliccia e mitria di traverso sul capo, che si inchina verso il finestrino di Ipazia. -Scusate, andate a Roma? -Sì. -Senta, signorina. Ho una fretta dannata e non ci sono altre vetture. Se mi fate salire, la corsa la pago io. -Salga. L’uomo siede accanto all’autista e si volta verso i due porgendo loro la mano. -Permettete? Ciccio Cicci. Purtroppo ho la Hennesey Venom GT (980.000 euro) in officina e non c’era un cristo che potesse venire a prendermi. In che zona andate? -Vaticano. -Che coincidenza, scendo anche io da quelle parti. Cirillo è palesemente interessato al nuovo arrivato e gli stringe la mano. -Cirillo di Alessandria. -Quel Cirillo? Il santo, il dottore della Chiesa? -Proprio quello – risponde il vescovo, titillandosi la barba e simulando noncuranza per i suoi titoli. -Che onore! Come mai qui? Immagino che ora lei risieda in Paradiso. -Lasciamo stare. Permette che le presenti la professoressa Ipazia? L’uomo ritira piano piano la mano. -Quella Ipazia? La pagana? -Piacere – fa lei, un po’ sulle sue . E decide di cominciare l’indagine. -Comunque, guardi che Cirillo sta all’Inferno. L’uomo si rivolge stupito al vescovo senza neppure guardarla in faccia. -E’ vero? Lei è stato punito per avere scarnificato questa qui? -No, per altro – fa lui vago – Una storia con la domestica. -Volevo ben dire. Poi ci ripensa e chiede allarmato -Perché, per le questioni con le domestiche si finisce all’Inferno? -Pare di sì. -Anche per le questioni con i minori maschi? -Non saprei dirle, a me piacevano le serve. -Non potrebbe informarsi? Voglio dire, se c’è una prassi generale relativa ai minori maschi. Mi interesserebbe. Non me direttamente, beninteso: è per un mio conoscente. -Cosa vuole che le dica, signore mio, fosse per me non ci vedrei niente di male. Ma non posso garantire. Ipazia sta a sentire ed è perplessa. Lei è abituata ai Campi Elisi, dove quando si parte di baccanale non si sta tanto a sottilizzare tra culi di uomo o di donna. Però i bambini non li tocca nessuno. -Scusi, ma il Papa su questa faccenda cosa dice? – chiede curiosa. -Chi, quello? – Fa l’uomo senza neppure voltarsi a guardarla – E chi se lo fila? – Ma non l’avete eletto voi? – Ah ah! Voi donne quando vi mettete in mezzo a questioni di uomini fate proprio ridere. Chieda al suo amico qui, il monsignore, che sicuramente le saprà spiegare meglio di me, se proprio ci tiene. Ipazia si rivolge a Cirillo, che è tutto contento di trovarsi in compagnia del nuovo arrivato, qualcuno che finalmente, dopo quasi duemila anni, se lo caga. -Spiegami- ordina Ipazia al dottore della Chiesa. -Si faceva così anche ai miei tempi – dice lui con tono saccente – Quando ci accorgevamo che non riuscivamo più a fottere il gregge, allora cambiavamo registro e mettevamo a comandare gente più presentabile. Poi, se rompevano i coglioni, li facevamo fuori e… – Ma cosa dice, monsignore – lo interrompe ridacchiando con complicità il nuovo arrivato – Sta dando anche troppe spiegazioni… a una donna e per di più pagana! Ipazia sta zitta. Ascolta i discorsi che si scambiano i due compagni di viaggio diventati ormai amiconi e riflette. A un certo punto le cade l’occhio nello specchietto retrovisore e vede che il tassista ogni tanto la osserva come se fosse preoccupato. E si ricorda che ad Alessandria, quando la filosofia e la matematica non le servivano per risolvere i problemi, chiedeva consiglio al fornaio o alla lavandaia. A gente, insomma, che sedeva davvero tutto il giorno sul greto della vita e ogni tanto ci si faceva anche il bagno. -Lei stava ascoltando? -A me m’abbastano li cazzi che c’ho per la capoccia! -Ma se avesse ascoltato che cosa mi consiglierebbe? -Te direbbe de raccoglie li cenci tui e ‘sto bagarozzo che te porti addietro e de tornà da indove se’ partita, bella mia. E de prescia puro, antrimenti te rifasseno la festa. Ipazia riflette un altro po’ poi dice al tassista. -Fermi qui. Scendiamo. -Agli ordini. Lo sconosciuto e Cirillo si guardano allarmati soprattutto quando Ipazia intima a Cirillo. -Svelto, scendi. Torniamo indietro. -Io resto qui – risponde lui dispettoso stringendosi al bracciolo. -Se non ti sbrighi ti mando quelli a cantarti il mistero glorioso e ti sollevo la tunica davanti a tutti. Cirillo bestemmia a bassa voce. Si vede che è indeciso. Ipazia cambia tono. -Dai, se mi segui senza fare storie ti lascio guardare un attimo dentro la scollatura e ti potrai anche toccare – gli promette, pensando in aggiunta -Se te lo trovi. Il vescovo con gli occhi luccicanti e la punta della lingua in un angolo delle labbra si precipita fuori dal taxi mentre lo sconosciuto lo chiama. -Monsignore, monsignore. Torni indietro. Insieme faremo grandi cose. Anzi, adesso scendo anch’io e quella lì la sistemiamo, vedrà. – Tu nun te move – dice il tassista abbrancandolo per il collo – Sta’ impalato finacché ‘un arriviamo ar cuppolone e me paghi i centoquaranta euri di corsa. – Ma prima erano novanta. -E pe’ te so’ centoquaranta, collostorto. Il tassì riparte sgommando, lasciando Ipazia e Cirillo allo svincolo di Parco Leonardo. Si incamminano con lui dietro che procede a passo strascicato e lei che ogni tanto si volta. -Svelto, che abbiamo strada da fare. -Ricordati della promessa. -Quale promessa? -Della scollatura. -Quale scollatura? -Me lo dovevo immaginare. Voi pagani siete spergiuri. -Sempre meno di voi cristiani. -Questo è vero – ammette Cirillo ridacchiando.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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