La shoah è unica per la sua universalità. E’ la rappresentazione superiore del male, del sacrificio a un sanguinario dio terreno. Nel genocidio operato dai nazisti con la complicità dei fascismi nel mondo, in particolare di quello italiano, ci sono la deportazione, la prigionia, lo sfruttamento umano ed economico, l’annichilimento di ogni tipo di dignità e infine il massacro. Gli elementi che altri stermini hanno tenuto separati, in questo hanno concorso a formare un esempio unico di totalità nel male. Il regista Emanuele Floris racconta non soltanto questa terribile completezza della violazione etica, ma anche un superamento della dimensione temporale, per cui il nazismo e l’olocausto non sono fenomeni circoscritti storicamente, ma una dimensione unica che attraversa ogni tempo. E’ questa la prima lettura possibile del suo lavoro “Io & Anne Frank”, presentato da Teatro e/o Musica nell’ambito del Progetto Scuola. Un piccolo dramma abilmente composto nella sua novità e nella sua classicità, che è stato rappresentato per le scuole e che in una serata al Civico di Sassari aperta a un pubblico “generalista”, ha riscosso la stessa emozionata attenzione e lo stesso successo dei matinée. E’ straordinaria questa rassegna di Teatro e/o Musica che non crea opere noiosamente didattiche per scolaresche, ma che alle scolaresche riserva il meglio del nostro teatro, usando come veicolo di discorsi molto importanti il linguaggio scenico più moderno e, nei testi, il nuovo lessico di quelle generazioni. Che ha, anche quello, un’evidente universalità che autori e registi come Floris sanno interpretare e raccontare. Floris in questa rassegna aveva già parlato di cyber bullismo e ora parla di nazismo e olocausto dentro una cornice di linguaggi, scenico e parlato, che non si discosta troppo dal precedente, quasi ad affermare un orrido monoteismo: il demone della violenza è uno ed è il signore di ogni luogo e di ogni tempo. Ed è appunto sul tempo che viaggia questa operazione teatrale ambientata ai nostri giorni in un palazzo diroccato, alla vigilia della demolizione, usato come rifugio da due ragazzi. Baby Bobby (ottima interpretazione di Stefano Dionisi), inguaribile “luogo comune” di una gioventù superficiale e taroccata, sorgente e girandola di neologismi da telefonino, triste, allegro e nebbioso nel suo non senso della vita. E Io, il protagonista (un bravissimo e maturo Marco De Murtas), il cui nome è evidente riferimento a una personalità tristemente e morbosamente autoreferenziale. Apparentemente degno compagno di Baby Bobby, ma in realtà rabbiosamente e pienamente cosciente del suo rifiuto del mondo per rifugiarsi in un altro mondo: la luce solo accennata, lo schermo mai mostrato di un personal computer. Una rabbia che De Murtas manifesta con un registro costante di toni e movimenti, anche nei momenti in cui la vicenda lo costringe a tradire i suoi momenti di tenerezza, di paura, di generosità e forse persino di amore. Io gioca con un videogame il cui set è “Nazilandia” e il suo tempo si unisce a quello dell’olocausto in una misteriosa dimensione in cui gli appare Anne Frank, interpretata da Elena Idini. Elena, pure giovanissima, è un’attrice formata. Ha un modo di muoversi nella scena che fa trapelare una frequentazione professionale della danza, una sicurezza nella dizione, un modo di trasmettere emozioni anche complesse: qualità, insomma, che denotano una maturità artistica davvero notevole. C’è a esempio una scena nel campo di concentramento, quando la morte per tifo è imminente, in cui Elena fa rabbrividire il pubblico interpretando una possessione fisica e morale del male assoluto che sta per annientarla, trasformandosi all’improvviso, lei così bella e così gentile, in un piccolo mostro sofferente che tenta di trascinare Io nel suo abisso. Tutto finisce con la morte o comunque con la scomparsa, compreso il quarto personaggio visibile, Margot Frank, la sorella di Anna, interpretata da una brava Alice Sassu. Io riesce a tornare a “casa”, cioè nel palazzo diruto proprio mentre scoppia la carica di esplosivo che lo butta giù. Non muore. Si riunisce a Baby Bobby e Io – sul cui viso il bravo De Murtas dipinge un agghiacciante e formidabile sorriso che sembra evocare quello di Anthony Perkins nel finale di Psyco – accetta la nuova proposta del pc: “Giochiamo ai terroristi”. Il male forse si è impossessato anche di lui. La regia di Emanuele Floris è eccellente. I movimenti dei personaggi, l’ingresso e le uscite delle maschere naziste, gli stessi cambi di scena sono tutti improntati a una rapidità ed efficacia che ne nasconde al pubblico la complessità. Un’operazione in cui è evidente l’obiettivo di trasmettere un messaggio tutt’altro che semplice e scontato sull’olocausto usando un linguaggio scenico immediatamente comprensibile e insieme di altissimo livello.
(In alto, Elena Idini e Marco De Murtas in una foto di scena di Michela Leo)
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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