Si sa, l’epifania porta via le feste mentre l’eccitazione dei regali natalizi sfuma nei saldi. Sostegno alla produzione. E della vanità personale. Il più nelle vendite 2015 – dati Confcommercio – è indice di ottimismo nazionale riconquistato; insomma: fuori dal guado a colpi di 80 e 500 € di bonus per gli insegnanti e crepi l’avarizia, da quest’anno anche per i diciottenni. A farla da asso pigliatutto il settore informatico: smartphone, of course. L’economia del dono, secondo gli antropologi, ha storia lunga: crea una relazione sociale e dal rapporto a due coinvolge l’intera comunità. Oggi, spiega Roberto Esposito (“Le persone e le cose”, Einaudi) gli oggetti tecnici costruiscono una catena sociale e danno corpo a ibridi – “quasi-soggetti e “quasi oggetti” – per cui “Non solo l’oggetto è commisto di elementi umani, solidificati e resi fungibili per altri uomini, ma questi ultimi risultano, a loro volta, attraversati da informazioni, codici, flussi che nascono dall’uso ininterrotto di oggetti tecnici (p.102)”. Doni che ci connotano. IoT sta per “internet of things” : internet degli oggetti o delle cose; o anche wearable device: un dispositivo indossabile, al polso o sugli occhi – i Google Glass – , per interagire in modo innovativo con il web. Siamo “nello sciame” e per dirla con Byung-Chul Han “Questo Internet delle cose porta a compimento la società del controllo: le cose attorno a noi ci osservano”, finendo per dare vita ad un panottico del quale siamo creatori e prigionieri. Internet delle cose ha funzioni di monitoraggio e controllo. L’oggetto può comportarsi come sensore, producendo informazioni su di sé e sull’ambiente circostante. Oggetti comandabili in remoto attraverso internet. I campi di applicazione sono innumerevoli, il limite è solo la fantasia. L’iphone, ad esempio, ha una App (definita da un cuoricino): ti conta i passi, se credi il metabolismo e altro se compili la cartella sanitaria. Non a caso GAFA (Google, Amazon, Face, Apple) investe sulla sanità da remoto. Interagire o essere agiti dalla pervasività degli IoT; la domotica, ad esempio; le tecnologie casalinghe (gli elettrodomestici) e le smart cityes, con le città produttrici di dati controllabili a distanza, come i totem digitali che indicano il numero di pedoni presenti ad una fermata del tram, gli smartphone connessi ad un hotspot pubblico e tanto altro. Potenzialità che squarciano la privacy: i dati conservati sul dispositivo o raccolti nella quotidianità possono essere facilmente trasmessi all’esterno. Privacy e sicurezza: il binomio ha equilibri dinamici e nessuno si dà peso di aree video sorvegliate se valgono l’ipotesi di una nostra tutela fisica. Che uno IoT produca dati relativi a persone e al loro utilizzo non è motivo di paura; già la profilazione individuale è data dai cookie, dal bancomat, dalle tessere punti: scie e mappe tracciate, oltre il campo della trasparenza e trattamento dei dati personali. Forse preda di criminali informatici, ma più appetibili per Amazon a sostegno della coda lunga dei processi di consumo omologativi. Di più. Cediamo sovranità di competenze: informatica e robotica sono lì, contigue alla quotidianità ordinaria e non parlo di montacarichi e tapis roulant. Costante dell’evoluzione è sfuggire lo sforzo fisico. Frankenstein è una la metafora prometeica (rubare il fuoco agli dei); disporre cioè di forza bruta perché se il capitalismo dimostrava onnipotenza, il proletariato – tra servaggio e schiavismo, qualche problema lo dava. Forse perciò Frankenstein è il mostro ripugnante. Storia vecchia, si dirà ed una volta capite le diseconomie, se ne cercano i correttivi. La rimodulazione dell’homo faber fa sì che il potere socializzi i vantaggi dell’ozio erodendo il peso specifico delle abilità. E’ apparenza che si sappia di più: siamo algoritmi processati dai cookies, numeri su fogli excel. Complici. Convinti che il bastoncino Findus stia in relazione di prossimità al pesce ed alla pesca; ammaliati dalle Sirene, nel delirio delle start up per che sottraggono fatica al lavoro (e a ruota, la sua remunerazione), esaltando questa socializzazione all’ozio come segno liberatorio. L’economia della condivisione (o della complicità) ha compiuto il primo step di pervasività sull’onda del “gratis”: il valore di un servizio di rete cresce con la quantità di utenti che ne fruiscono e proprio perciò consente dividendi agli investitori per un ciclo virtuoso di abbattimento dei costi nelle quantità crescenti d’utenza. L’emotività e l’empatia, ad esempio, permeano la comunicazione delle chat: un emoj (la faccina che ride a lacrime) non un neologismo verbale – una parola – vince gli Oxford Dictionnaires 2015. Forme inedite di accentramento del potere e riduzione dei diritti, come dice Stefano Rodotà, da contrastare con una costituzionalizzazione di Internet dacché è qui che si gioca il futuro della democrazia.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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