Una vita in fuga. Perché il tempo per pensare non te lo danno e perché nascere da una certa parte della strada ti costringe a lottare con le pietre che hai dalla tua parte. Fuggire, nascondersi, correre, ripararsi dal freddo e dal vento. Essere lepre sperando, un giorno, di diventare cane. Non poteva fermarsi Graziano Mesina che cominciò a fuggire nel 1960 quando, arrestato dai carabinieri per aver sparato in un luogo pubblico, evade dopo aver forzato la porta di sicurezza. Comincia a conoscere la latitanza e le montagne intorno ad Orgosolo. Fuggi dal treno in corsa, nel 1962, a Macomer. Durò poco, ma durò. Sempre lo stesso anno, a settembre, riuscì ad evadere dall’ospedale San Francesco di Nuoro come nella più classica delle fughe: scavalcando un davanzale e calandosi nel tubo dell’acqua. Quell’evasione durò tre mesi. Se ne andò ad abbracciare la montagna e, forse, sarebbe durata molto di più se non fosse perché scese in paese a vendicare il fratello. Nel 1963 prova a filarsela dal carcere di Nuoro con poche speranze. Trasferito a Porto Azzurro riesce a fuggire durante un trasferimento verso la Sardegna. Sempre in treno, fu riacciuffato subito dopo.Scappare dalla cattività e dalla realtà. Provò anche a passare per pazzo e tentò di evadere dall’allora manicomio criminale di Montelupo Fiorentino. Non ci riuscì. Tentò anche dal carcere di Viterbo e fu un fallimento. Trasferito a Spoleto provò ad andarsene ma fu scoperto. Una vita alla rincorsa di una libertà in fondo mai avuta. Il carcere e il treno sono stati i suoi strumenti da utilizzare per provare a ritrovarsi senza catene e senza intoppi. Il personaggio, forse, gli ha un po’ preso la mano.E’ il 1966 l’anno dell’apoteosi, della sfida alle sbarre, alla giustizia, a chi aveva deciso di tenerlo dentro pochi metri quadri. Prima prova a fuggire durante un trasferimento: ci prova dal treno con un buco nel pavimento. L’11 settembre 1966 fugge dal carcere di San Sebastiano insieme ad un disertore spagnolo appartenente alle legione straniera. Da quell’anno Mesina provò a diventare un mito, in parte riuscendoci, in parte provando ad allontanrsi dalle sue responsabilità e sfuggire ai suoi doveri. La latitanza dura due anni e il sipario sembra calare. Non ci sono più treni e sbarre da segare nella parte della strada ricoperta da Mesina. Sarà il presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi a farlo evadere legalmente concedendogli la grazia. Era il 25 novembre del 2004. Mesina era un uomo libero. Lo conobbi per la prima volta durante una manifestazione, a Sassari. Dovevo presentare un libro sul sequestro di persona dell’ingegnere Bussi. Una storia complicata e dove lui non era minimamente implicato. Ci presentò un’amica comune, ma anche in quel caso fu molto sfuggente. Non nacque nessuna empatia. Non avevo mai amato il mito del “bandito sardo” e lui, probabilmente, mal sopportava chi odorava di carcere. Dopo l’arresto, avvenuto nel 2003, ci incontrammo una seconda volta. Questa volta in carcere, a Badu e Carros. Manteneva uno sguardo fiero, ma spento. Parlammo poco e facemmo finta di non conoscerci. Ognuno recitava la propria parte e la sua non era quella di chi aveva voglia di mettersi in gioco. Gli chiesi soltanto se si trovasse bene in quella cella. Rispose in maniera coerente: “In carcere si sta male ovunque”.Doveva fuggire Mesina per continuare a sopravvivere alle sue ombre, alla sua vita tutta di corsa, a volte senza quasi respirare. Non c’è stato il tempo per fermarsi e provare ad analizzare questa vita spericolata o, più semplicemente, questa vita costruita scegliendo tutti i tasselli sbagliati. Le sentenze sono ormai definitive e Mesina è stato condannato a restare tra le mura di un penitenziario per molto tempo. Forse per sempre. Non solo per l’età ma anche perché fuggire non può sempre risolvere le situazioni. Ha accantonato per una vita tutta l’esistenza e, come un film, ha giocato con i frammenti di alcuni fotogrammi a noi invisibili: più che un attore è stato un bravissimo stuntman. E, paradossalmente, ha vissuto sempre ai margini di quella strada incocciata forse per sbaglio, forse per scelta. Chissà.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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