Non ho mai amato le “greffe”, le “compagnie” ne’ tantomeno i plotoni e reggimenti, non ho mai amato, anzi semmai l’ho sempre odiate, tutte le sette e le congreghe, le corporazioni e le logge, i branchi ed i gruppetti, gli eserciti e le masse.
E credo che mai li amerò, anche se il mio lato umano mi impone di avere, comunque, e di mantenere una costante rispettosa anche nei loro confronti, il rispetto per ogni singolo che, in base a delle stranissime regole, tutte mie, trovate per strada nelle aule di una Università particolare, aperta ed inclusiva ma anche spietata ed isolante come la vita, ha diritto anche di sbagliare, ma non in eterno.
Ho sempre amato i cani sciolti, gli isolati e gli isolani, quelli che sono diventati “classe” per esclusione e non per scelta, li amo perché nonostante tutto riescono, come me, a mantenere quel rispetto per chi, col suo agire, spesso ignorantemente ed inconsapevolmente, li ha resi tali.
Questo non vuol dire che io pensi e creda di poter fare tutto da solo, anzi.
La mia vita è stracolma -e continua a riempirsi- di esperienze dove metto generosamente entusiasmo, fantasia, tempo, denaro, passione e sentimenti in progetti collettivi, che all’inizio sembravano promettere ulteriori aperture, ampliamenti di vedute e di spazi, di confronto e di civile contrapposizione sui temi, unico metodo che conosco per arrivare, in una società variegata e complessa come questa (che poi in realtà così non è) ad una crescita d’insieme, ad uno sviluppo sostenibile ma soprattutto un qualche risultato positivo per tutti. Ne ho seguito i cambiamenti palesi e non, gli sviluppi e le attigue esperienze direttamente e sempre sino a che fattori “altri” non siano intervenuti. Ma sono sempre restato dalla parte degli ultimi, di quelli che quando ricevono immeritate punizioni non usano l’odio o la vendetta come rimedio ma con paziente lavorio cercano di istruirsi, di prendere maggiore consapevolezza e sconfiggere certi atteggiamenti ed abitudini dei gruppi prima descritti con l’intelligenza.
L’isolamento, fare parte di un qualsiasi gruppo, ti esclude automaticamente da tutti gli altri gruppi ed i singoli di cui non fai e non fanno parte, la differenza la fa l’essere un gruppo “aperto” oppure “chiuso” nelle “forma-mentis” dei singoli, e non è una differenza da poco.
Di gruppi realmente aperti, proiettati verso il resto del mondo nonostante numerose esperienze traumatiche, ne ho incontrati in percentuale bassissima, si tratta per lo più di gruppi che oggi operano a livello globale o stanno per raggiungerlo e non sono tanti.
Mentre di gruppi arrotolati su se stessi, avvolti nelle spire della rivalsa invidiosa o dell’ostentazione, partiti con i migliori propositi ed arenati sulla prima parvenza di lucro, farraginosi perché burocratizzati ed assoggettati alle pressioni e regole stesse di quel sistema che vorrebbero cambiare, a parole, ma che nei fatti sorreggono e se ne allattano. Dediti all’esclusione e all’annientamento di fantastici nemici che essi stessi creano, “gli amici dei miei nemici sono miei nemici!”, pensieri del cazzo per cervelli in merda.
Coltivare questa dimensione ipo-umana di comunità non più collettiva ma esclusiva ed occludente, accrescerla ed accanirla sempre più è per me l’esatto contrario di crescita, di sostenibilità, di espansione ed apertura mentale quindi culturale. “Solo il mio gruppo conta”, il resto può essere speso sugli altari sacrificali dell’individuale ipocrisia, chi non si piega alla dottrina ed alla convivialità famelica delle carneficine nel branco va denigrato ed oltraggiato, ma mai apertamente, prima va escluso.
I nemici si fanno a pezzi nelle tane dei branchi, nelle caserme e nei fronti di guerra, con la sola differenza che se al fronte il nemico dev’esserci per forza -o non c’è guerra- nei branchi il nemico è sempre meglio che non ci sia, che non veda e non senta quei morsi, le pisciate che -come a marcarne possesso- il branco gli dedica. Ed il branco non si avvede che, se il nemico non c’è, è su se stessi che pisciano e sbranano i suoi membri sempre più residui che come pesci stipati in angusti vivai si ostinano a convivere, respirare e cibarsi di ciò che in quella poca acqua circola.
Solitamente è così, che si estinguono, ed è un vero peccato. Ma soprattutto, nessuno glielo augurava.
La mia vita è un Mare aperto, mi costa poco variare una rotta. Senza remore e sempre certo di avere agito secondo coscienza e coerenza maggiori possibile, senza via di mezzo.
Ed ogni volta che dico branco, a prim’acchito penso ai lupi, potessero insegnarci…
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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