Un gruppo di studenti e di docenti della scuola secondaria in cui insegno ha trascorso una settimana in una remota e glaciale regione della Romania. Era uno scambio culturale previsto dal progetto Erasmus. Uno dei ragazzi reduci dalla gita fa parte di una delle mie classi.
Oggi, negli ultimi dieci minuti della lezione, l’ho chiamato alla cattedra perché condividesse con i suoi compagni la sua fresca esperienza del viaggio. È stata una specie di conversazione guidata, chiamiamola pure un’intervista. Ma mi sono reso conto dalla prima sillaba che il mio alunno aveva voglia di raccontarla, di trasmettere quanto aveva imparato in quei giorni in uno sperduto luogo ai limiti dell’Europa. Aveva scoperto qualcosa di importante.
Insomma, in quel piccolo centro a dodici ore d’auto da Bucarest il ragazzo è stato molto bene, nonostante il freddo, nonostante le incertezze che sempre accompagnano la missione in una terra sconosciuta tra gente sconosciuta. Ma è stato nella risposta ad un’altra domanda che ho colto l’aspetto più importante dello scambio. “È stato come te lo aspettavi, il viaggio?” Gli è scappato un sorriso imbarazzato, poi ha risposto con un’esclamazione decisa: “No!” “Perché?” “Sono partito un po’ preoccupato. Io pensavo che la Romania fosse un posto molto diverso e i romeni gente molto diversa. Invece sono stati incredibilmente ospitali, gentilissimi, ci hanno messo a disposizione tutto quanto ci serviva. E poi i luoghi, di una bellezza eccezionale!”. In breve si è sviluppato un dibattito in classe e la sorpresa dell’alunno ha trovato una spiegazione, quella che avevo intuito fin dal primo momento. Insomma, c’è tutta una nuova generazione che è stata cresciuta inculcando nelle sue giovani menti il pregiudizio. Convincendo quelle giovani menti che il romeno non possa che essere un ladro, un piantagrane, un violentatore, uno spacciatore. Sono i prodotti scadenti della misera e miserabile sottocultura xenofoba, della riduzione del mondo al sistema binario amico/nemico. Ma poi, come sempre, la conoscenza sconfigge il pregiudizio. Basta leggere, andare nei luoghi, conoscere le persone, parlare con loro, calarsi nelle quotidianità delle loro vite per scoprire realtà molto diverse da come ce le avevano rappresentate. La scuola delle relazioni resta l’arma più affilata contro i predicatori dell’odio che invocano un mondo sbarrato da muri e veti. La scuola è la vera resistenza civile dei nostri giorni.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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