Con Renato Zangheri mi devo scusare. In realtà avrei voluto farlo da tempo perché quando si commettono gli errori bisogna ammetterli anche se erano errori di gioventù. Avevo 18 anni e a quell’età – come ricorda Guccini – si è stupidi davvero e, sicuramente, molto esuberanti. Nei circoli della sinistra extraparlamentare, nel magma che era, in quegli anni, la galassia di gruppi a sinistra del PCI, si decise, ad un certo punto, di andare tutti a Bologna per parlare di repressione. Una tre giorni di parole, musiche (ed altro) nella città, a quei tempi, più rossa d’Italia. Con a capo un vero comunista: Renato Zangheri considerato dall’ala dura e pura del “movimento del 77” una specie di “bacchettone reazionario”. Tutto nasceva a Marzo del 1977 quando venne ucciso, a Bologna, Franco Lorusso, a seguito di uno scontro tra i carabinieri ed esponenti appartenenti all’area di Autonomia Operaia, della quale Lorusso faceva parte. Questo portò il movimento ad invadere Bologna nel settembre successivo come risposta rivoluzionaria ad un sindaco che aveva portato i carri armati nella città. Si coniò, in occasione delle giornate sulla repressione, uno slogan su Renato Zangheri (da alcuni chiamato Renatino) che voleva essere uno monito e una minaccia, seppure ironica: “Zangherì, Zangherà, zanghera tutta la città”. Ed ecco la mia colpa. Non facevo parte di nessun movimento. Lavoravo per una radio libera, ad Alghero, e dissi che quello slogan era appropriato e carino. Insomma, quello Zangherì, inventato molto probabilmente dagli indiani metropolitani, nei confronti del sindaco di Bologna (che perlatro non conoscevo) per me andava bene. Ecco, adesso che Renato Zangheri è andato via, in silenzio, all’età di 90 anni, mi rendo conto che quella mia considerazione era figlia di un grosso errore. Esuberanza giovanile? Probabile. Ma fu una piccola lezione di stile quando, invece, ascoltai il suo discorso laico e altissimo contro i terroristi che avevano dilaniato la sua Bologna il 2 agosto 1980. Parole di un uomo serio, fermo, risoluto. Un vero comunista. Era cresciuto con Enrico Berlinguer, un intellettuale attento e scrupoloso, aveva scritto per “movimento Operario” una rivista storiografica del partito comunista italiano; era uno studioso, una persona che da sindaco (dal 1970 al 1983) ridisegnò la città e il suo centro storico. Fu persona accorta ai problemi del sociale e alla cultura. Ha camminato in mezzo a momenti terribili: dall’Italicus del 1974, alla strage di Ustica (l’aereo era partito da Bologna) alla morte di Lorusso e, infine, alla strage alla stazione. Dopo il 1977 e dopo le giornate sul convegno della repressione Zangherì, ancora una volta, da studioso e intellettuale, comprese l’importanza delle richieste che nascevano nel Movimento e decise di scommettere su nuove idee e sui giovani, organizzando una serie di eventi nati sotto il progetto “Piano Giovani”. Un nome semplice, nessun aforisma e nessun inglesismo. Questo era Renato Zangheri. Ed oggi, ricordandolo , non posso che scusarmi per non aver compreso appieno il suo apporto essenziale alla cultura e alla crescita di un paese che ormai si è sgretolato e non ha più uomini verticali come Renato Zangheri.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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