Tutti siamo andati in prigione senza passare dal via e molti tirando i dadi speravano di non finire mai nel parco della vittoria augurandosi, invece, di infilarsi nel vicolo corto. Nomi che raccontano momenti della nostra adolescenza e non solo, nomi che insieme a probabilità ed imprevisti hanno unito, per delle serate intere, famiglie o gruppi di amici.Il 6 febbraio 1934 usciva, negli Stati Uniti, la prima edizione di “monopoly” che da noi venne subito italianizzato in “monopoli” e dal quel giorno – sono passati 88 anni – tutti, io credo, abbiamo tirato i dadi, contato le caselle e abbiamo gioito o ci siamo disperati di essere finiti in una casella piuttosto che un’altra.Monopoli è un gioco di strategia pura, dove c’è molto cinismo, tattica e anche una buona dose di “botta di culo” legata al lancio dei dadi che nella scalata sociale non guasta. E’ stato visto come un gioco “di destra”, liberale, spregiudicato, ma è stato giocato da tutti con la segreta voglia di far fallire il proprio avversario.Tutti avevano una loro tattica: alcuni preferivano le stazioni, le cartelle azzurre e arancioni, avere cioè la possibilità di fare pochi soldi ma subito. Le case, da quelle parti, costavano molto poco. Altri invece cominciavano delle aste estenuanti, discussioni interminabili e tentavano di bloccare l’unione dei gialli e dei verdi, caselle pericolosissime che a passarci ci rimettevi la partita.Ho passato serate intere a giocare a monopoli con un gruppo di amici, soprattutto alla fine degli anni settanta. Ero un discreto giocatore, mi accontentavo di chiudere subito con i terreni e con pazienza certosina cercavo di acquistare case ed alberghi. Molte volte sono finito in prigione senza passare dal via. Non lo sapevo, ma era un segno del destino.Buon compleanno monopoli e non dite che voi non ci avete mai giocato perché non ci credo.In questi giorni di guerra qualcuno dovrebbe andare in prigione senza passare dal via. E restarci.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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