La pioggia cade sottile in una Cagliari grigia e solitaria. Sceneggiatura perfetta per un regista tormentato e visionario come Bernardo Bertolucci, morto oggi dopo una lunga malattia. La pioggia che sciacqua e leviga le strade di Parigi dove ha girato due film abbastanza controversi e che hanno fatto molto discutere: “L’ultimo tango” e “The Dreamers – i sognatori”. Un uomo che ha masticato la poesia del padre Attilio e che ha imparato ad utilizzare la macchina da presa con Pier Paolo Pasolini per poi virare dentro un nichilismo intenso, claustrofobico e sognante. Quella Parigi che non esiste nell’ultimo tango e nei sognatori, se non in poche immagini, più che altro la scusa di una città per raccontare la solitudine del mondo. Tutto nasce e si costruisce nei pochissimi protagonisti: da una parte una coppia d’amanti trasgressiva e dall’altra tre studenti del 68 che osservano dalla finestra una rivoluzione che passava tra le strade di una capitale solitaria e triste. Ho amato molti suoi film, il suo modo di osservare le cose del mondo, la sua voglia di stupire come nell’ultimo imperatore o nel piccolo Buddha, ma ho apprezzato quella fotografia solitaria che c’è nel “tè nel deserto” i in “io ballo da sola”. Il film che sento mio, decisamente mio, è l’affresco di un’epoca raccontato nel lunghissimo film “novecento” che avrebbe meritato ben altra fortuna e migliori attenzioni da una critica sempre troppo ingessata e poco disposta a comprendere le visioni dei registi. Novecento è poesia allo stato puro: amore, passione, orrore, rabbia, disperazione. E’ la colonna visiva di ciò che siamo stati, di ciò che siamo diventati, è il condensato delle nostre miserie, dei nostri errori, del nostro dover essere a tutti i costi italiani. Ho amato lo sguardo di Dominique Sanda e di Stefania Sandrelli, la folle regina Laura Betti, il perfido Attila interpretato da un magistrale Donald Sutherland, il tutto condito dalla fotografia di Vittorio Storaro e dalle musiche di un inimitabile Ennio Morricone. Quella storia che comincia il 27 gennaio del 1901, con la morte di Giuseppe Verdi e che prosegue tra la via Emilia e il West, tra la poesia e la bellezza ha il fascino particolare di un quadro futurista di Balla, con spruzzi di Matisse e Mirò. Tutto si miscela, tutto si colora e tutto si imbeve di ideologia. Quei due bambini, Olmo e Alfredo che si rotolano per terra, raccolgono le rane nei piccoli laghi e su sdraiano sui binari del treno per ascoltare la voce dei fantasmi. Quell’evocazione da “Amarcord”, con uno sguardo anche a Salò e le 120 giornate di Sodoma, quel voler miscelare tutto tra l’immensità e la depressione.
Questo è stato Bernardo Bertolucci: un regista che ha sempre ballato da solo un tango lunghissimo, deprimente, sdolcinato, fortemente vacuo, terribilmente bello. Bertolucci ha disegnato la bellezza attraverso le immagini ed è giusto che il suo ultimo ciak sia dedicato alla sua visione: un paradiso dove camminano Buddha e l’ultimo imperatore, magari con Marlon Brando che osserva silente l’ultimo sguardo: quello di un grande e vero regista.
Giampaolo Cassitta
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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