Un paio di mesi fa ho ricevuto una telefonata: “Salve, mi chiamo Gian Luca Boetti, mi han dato il suo numero gli uffici del Comune…”
È un fotografo, dice. Io non lo conosco. Mi spiega che dovrà venire nell’Arcipelago per una serie di scatti e ha bisogno di qualcuno che lo accompagni per sentieri e gli dia un po’ di assistenza logistica. Parliamo una mezz’ora e rimandiamo i dettagli a una mail che mi invierà entro pochi giorni.
La mail arriva. Scrive che è in cerca di fioriture. Mi chiede cosa c’è e cosa ci sarà per aprile-maggio. Vuole sapere delle ginestre, del cisto, delle orchidee selvatiche. Mi fa una serie di domande sulle isole, sulla storia, sulle distanze tra un’isola e l’altra. Sta finendo un libro, mi scrive, poi farà i biglietti e verrà in Sardegna.
La cosa mi sembra interessante e decido di accettare.
Poi apro google. E scopro che Boetti ha pubblicato roba molto bella su sentieri, trekking, percorsi storico-naturalistici. È uno che ha girato (e pubblicato) in molti paesi del Mediterraneo, e che parla come un contadino che ha letto molto.
Il rapporto va avanti così, tra mail e telefonate.
Alla fine fa i biglietto per il 20 maggio e sbarca qui con un collaboratore.
La prima mattinata va via per sistemarsi, incontrare il Sindaco, fare piani.
Poi si inizia a fare sul serio: scarponi, acqua, macchine fotografiche, e si parte per il primo giro: Caprera, anello di circa sette chilometri nella zona nord-ovest.
C’è qualcosa di strano. Non sono le solite escursioni. Ho un ruolo diverso. Normalmente accompagno e racconto; in un certo senso è come se facessi da filtro tra quello che si vede e quelli che lo guardano. Questa volta il filtro è più sottile, la mia traduzione non è fondamentale, e per ogni roccia che valga la pena, per ogni scorcio, partono decine di scatti.
Finiamo il giro al tramonto.
Secondo giorno, Spargi e Razzoli, col gommone di Marco (chi ha letto i report di dicembre e gennaio su Nymphaea sa già chi è). Prima di metter piede a terra facciamo un giro veloce a Cala Corsara. È sempre stupenda, specialmente ora che la gente è poca.
Le rocce dietro Cala d’Alga sono spettacolari. Mastodonti di granito consumati dalla chimica prima ancora che dal vento. Funziona così: l’umidità che sale dal terreno scioglie alcuni cristalli e inizia a mangiarsi la pietra dal basso. Possono passare migliaia di anni senza che dall’esterno si veda qualcosa. Poi qualche parete cede e le cavità iniziano ad aprirsi all’esterno. In Gallura e in Corsica li chiamiamo “tafoni”. Il vento e le escursioni termiche fanno il resto, e alla fine di un monolite di migliaia di tonnellate resta qualcosa che somiglia a un’anima: a volte ci vedi una bestia, a volte un viso, a volte una scena di lotta. Più spesso un impasto troppo complicato per avere un nome.
C’è un po’ di vento e molto sole a Cala d’Alga. Dopo qualche centinaio di scatti il buon Boetti è pronto. E si parte per Razzoli.
Razzoli è quintessenza. È tutto talmente denso che se non ci fate un salto non potete capire. La luce, innanzitutto. Comincia a far stringere gli occhi prima ancora di mettere piede sull’unico molo. Sarà il granito bianco, sarà la quantità di sale che impregna di microcristalli ogni cosa e riflette ogni guizzo di sole. Sarà il mare aperto, che con un po’ di vento si increspa e allunga i riflessi fino all’orizzonte, dietro il quale ci sono la Spagna di Cervantes e la Marsiglia di Izzo. Si, loro, fuori dai libri e come in attesa, dietro l’orizzonte appunto, che qualcuno le raggiunga via mare partendo da qui.
Dopo la luce iniziano ad arrivare gli odori. Attraversando il sentiero che taglia l’isola, attraversandolo a maggio, uno trova dall’inizio alla fine le piante aromatiche più potenti che si trovano anche sulle altre isole, sparpagliate. Qui sono concentrate: elicriso, rosmarino, menta puleggio, lavanda, stachys, erba gatta e assenzio di Corsica. Ci sono tutte e ci sono punti in cui è possibile trovarle raggruppate nel raggio di dieci metri. Le condizioni sono perfette: poca acqua, molto sole, moltissimo vento e rischio elevatissimo di evaporazione. Le piante ricche di olio essenziale hanno fatto di necessità virtù, le altre un po’ meno.
Poi, in mezzo a questi segnali, attraversi l’isola da sud a nord e ti sembra che anche il verde sia più acceso che altrove. Sembra strano, ma guardando le eriche sul lato sinistro del sentiero, forse per effetto del sole che inizia a superare lo zenith e a fare giochi in controluce, il verde sembra finto, quasi impastato da uno schermo.
E in fondo c’è il faro. Quello antico, intendo, quello abbandonato anche da chi doveva restaurarlo. Quello che forse ha ricevuto la mazzata finale, dopo un secolo e mezzo, da una gabbia di tubi che l’isola si sta mangiando un po’ alla volta, sbranandola col ponente e digerendola piano piano con il sale e la pioggia. Forse, dopo l’impalcatura sarà la volta del faro. Sarebbe un peccato, ma si tratterebbe di una morte più dignitosa.
Nei giorni successivi il tour è proseguito: Santa Maria, Santo Stefano, Budelli, La Maddalena, ancora Spargi e ancora, soprattutto, Caprera.
È divertente accompagnare un fotografo di paesaggi. Capisci quello che di solito al massimo ipotizzi: chi viene con te in escursione vede cose che tu non vedi, e nel caso del fotografo alla fine riesci a vederle anche tu, perché dopo mezz’ora passata a fotografare la stessa torretta, la stessa roccia o la stessa cala, decidi di provarci anche tu e alla fine riesci a tirare fuori qualcosa che prima, giureresti, non c’era o che avevi dimenticato. Ti saltano gli schemi e la tua stessa casa ti sembra più bella e più nuova.
In una delle ultime uscite, dopo qualche centinaio di scatti, ci siamo fermati a chiacchierare. Fa piacere scoprire che il mondo appare anche ad altri come lo vedi tu, esattamente come lo vedi tu, come un serbatoio di senso: parlando dei casini della vita, a un certo punto ci siamo detti che puoi girare il pianeta, divorziare, cambiare mestiere, avere figli, ammalarti, guarire. Arriverà sempre il momento in cui ti siedi di fronte al mare della Sardegna o a una vallata delle Alpi, e ti rendi conto che in fondo tutto questo essere dentro le cose, dentro le cale, in un ufficio, sopra un sentiero, in fila al distributore, inchinato su un ciuffo di menta, può continuare ad avere un senso.
Per ragioni varie è capitato spesso di iniziare un sentiero a metà pomeriggio, quando sembra che la giornata sia ormai andata. C’è una cosa che si sa da sempre e sempre si dimentica: l’Arcipelago a quell’ora è il luogo perfetto. La luce del sole si abbassa e illumina le cose del mondo correndoci sopra. È una luce calda, morbida. Cala anche il vento, spesso, e i profumi riprendono a giocare con i pochi spifferi ancora in movimento. Tu sei ancora lì che cammini con gli occhi pieni di forme, le orecchie vuote e le narici ancora piene dell’ultima sniffata di erba gatta (pizzica, è buonissima ma pizzica), e sei appena risalito dal sentiero di Cala Cuticciu (quasi un’ora per più di cento metri di dislivello). Arrivi al parcheggio e cammini verso Arbuticci, dove hai lasciato la macchina. Sotto di te, pronta per andare a dormire o a mettersi in tiro per uscire c’è lei, “l’isula”. Tra un po’ compirà due secoli e mezzo. Una ragazza.
Le Bocche di Bonifacio si riposano, a quell’ora. Non c’è più la tensione del giorno pieno, quando sembra che tutto abbia le vene da fuori e i nervi tirati a balestra. Silenzio, aria profumata, spazi immensi.
Vi confesso una specie di tic. Quando arriva il tramonto e tutto si calma, in qualunque punto dell’Arcipelago io sia, mi viene da pensare agli eremiti che hanno abitato le isole quasi novecento anni fa.
Mi viene da chiedermi che tipo di silenzio potessero sentire, mattina e notte, inverno ed estate, stando qua.
Penso che quasi tutto quel silenzio sia andato via.
Quasi.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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