In Costa Smeralda gli alberghi restano chiusi, in media, per otto mesi all’anno. Edifici fantasma in luoghi desolatamente deserti, tra ottobre e maggio.
Meglio chiusi, comunque, anziché aperti fuori stagione per ospitare pochi migranti, nel caso in cui i titolari di qualche struttura ricettiva volessero offrire la loro disponibilità ad accoglierli.
Questo l’orientamento unanime che emerge dal dibattito politico sprigionato ad Arzachena da una direttiva dirigenziale di qualche settimana fa: un mandato esplorativo per sondare, appunto, se qualche albergo volesse aprire le proprie porte a chi ha appena attraversato il Mediterraneo su una bagnarola, a rischio della vita.
Un consigliere d’opposizione – lo stesso che anni fa propose la cittadinanza onoraria di Arzachena per il magnate uzbeko Usmanov – ha attaccato la maggioranza ritenendo inopportuna l’iniziativa, il sindaco Ragnedda ha respinto al mittente le accuse sostenendo che si tratti di un provvedimento dirigenziale e non ispirato da una volontà politica. E, in conclusione, asserendo che non esistano le condizioni per ospitare migranti in Costa Smeralda.
È bene ribadirlo: non si stava obbligando nessuno ad ospitare dei disperati, si stava solo chiedendo se qualcuno volesse farlo. Ma il migrante ormai è associato all’antiestetica miseria, agli inesistenti privilegi assistenziali a danno degli italiani, a quelli che ci rubano il lavoro per due soldi, al terrorismo, alla minaccia dell’Islam radicale: il migrante è una massa indistinta di uomini e donne senza volto, una condizione che di per sé non ammette attenuanti.
Quel che colpisce e impressiona, nella reazione di questa parte fortunata di Sardegna nella quale vivo, è la totale esclusione di valori quali la solidarietà, la carità, la pietà umana, la fratellanza e, soprattutto, la tolleranza verso chi invece mostrasse un orientamento diverso, meno ostile.
Una volta, chi faceva politica riteneva che tutto ciò che accadeva nel mondo dovesse essere di suo interesse, indipendentemente dalla distanza geografica. Ora, io non so esattamente quali siano le controindicazioni genericamente addotte dal sindaco per chiudere ogni porta ai migranti, anche se mi rendo conto che un amministratore deve tenere conto delle sollecitazioni – in questo caso chiarissime – che giungono dalla comunità che rappresenta. So anche, però, che non potremo continuare in eterno a considerare la grana migranti come un problema altrui e mai nostro. E penso che un piccolo segnale d’apertura verso i più deboli avrebbe giovato all’immagine di un luogo considerato snob e riservato solo a chi ha avuto il merito o la fortuna di accumulare tanto denaro.
Di immigrati ammassati in alberghi chiusi io ne ho visti già dagli anni novanta: erano manovali e muratori arrivati da vari centri della Sardegna che costruivano il complesso Cala Del Faro, costretti a passar la notte nelle baracche tra una giornata e l’altra di lavoro, non potendosi permettere di meglio. Stavolta, invece, porte sbarrate. Nessun dibattito però è stato promosso in Costa Smeralda per chiarire se i musulmani del Qatar abbiano relazioni con l’Isis, come autorevoli osservatori internazionali asseriscono. E nessuno ha chiesto il parere, su questa vicenda, al capo religioso islamico che la Costa Smeralda l’ha fondata: l’Aga Khan.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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