Provate ad immaginare un luogo dove non ci sia alcun paradiso e nessun inferno: solo il cielo sopra di noi. Bello immaginare che non ci siano paesi, niente per cui vale pena uccidere o morire, neppure una religione da seguire, Immaginate che un giorno il pianeta sia come una cosa sola, una confraternita di persone che condividono il mondo.
Queste parole apparivano per la prima volta l’11 ottobre del 1971. Sono passati 51 anni e quelle parole, contenute in una canzone universale appaiono, soprattutto in questi giorni, inutili e in qualche maniera lontanissime da noi. La canzone era ed è “Imagine” di John Lennon e divenne, fin da subito, la bandiera dei pacifisti. Ma non solo. Quella canzone contiene pochissimi concetti e tutti molto importanti. Non è vero che per fare la pace occorra sempre scatenare una guerra, si può ottenere la pace preparando il mondo alla pace, giorno dopo giorno, anno dopo anno, momento dopo momento. Dire “con te non parlerò più, ti odierò fino alla morte” è un’affermazione definitiva ma falsa. Non è possibile non ci siano le soluzioni all’odio e al riscatto. Il concetto più bello della canzone di John Lennon è di una semplicità disarmante: dovremmo abolire tutte le patrie e fare del mondo un unico paese. Pura utopia, certo. Ma pensateci: alla fine, per quanto siamo molto di passaggio su questa terra (e ci passiamo davvero molto leggeri come ci insegnava l’immenso Sergio Atzeni) trascorriamo molto tempo della nostra brevissima esistenza a puntualizzare, dividere, mettere “paletti”, costruire regole, infrangerle, trovare il modo per dividere e non per unire. Quel mondo di “imagine” è un mondo che non ci sarà perché è difficile “fare la pace”, ci costringe a sederci in un tavolo e guardarci negli occhi, concedere qualcosa, restituire parole. E’ più semplice, lo so, risolvere tutto con qualche cannone, con la distruzione dell’avversario. Scrivere in un diario: “con lui non farò mai la pace” è un errore abnorme perché è proprio con gli altri (e con gli ipotetici nemici) che si costruisce la pace. Immaginate di stracciare tutte le parole sbagliate e provate a cantare: “imagine all the people sharing all the word”. Non solo è bell e fa bene al cuore ma ci regala una visione di mondo completamente diversa da quella costruita nei secoli. Lavoriamo per ricucire, per riparare, per mediare. Il futuro ha senso solo se ripariamo il presente.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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