(foto 3B Meteo)
Avrei dovuto dedicare, ancora una volta, il personaggio del giorno alla siccità. L’ho già fatto alcuni mesi or sono, prima di questa estate, e la speranza era che oggi, a Novembre, restasse tale. Cioè che la siccità restasse personaggio di quel giorno, e non di altri, e non personaggio vivo ancora in pieno autunno, a Novembre. La siccità è, pertanto, il personaggio del mese, dell’anno, degli ultimi anni. Non ci accorgeremo del dramma che stanno vivendo le genti delle campagne sarde, e non solo sarde, credo di mezza Europa, finché nei nostri rubinetti cittadini continuerà ad uscire l’acqua. La città, o il paese che ne imita vizi e virtù, è una campana di vetro. Un mediatore che si posiziona, con il suo asfalto, il suo cemento, le sue tubature, i suoi fili, la sua tecnologia, tra noi e il mondo rigoroso della natura. E’ un mediatore che trasforma la fatica della gente della campagna in servile comodità. La percezione di quelli che vengono definiti “cambiamenti climatici”, che stanno distruggendo il pianeta, è ridotta. Scrissi tempo fa che mentre distruggono la foresta amazzonica, continuiamo imperterriti a curare amorevolmente i fiori del nostro giardino. E’ il modo mediato dalla cultura borghese, lineare e urbana, per risolvere i nostri conflitti interiori, i nostri sensi di colpa per lo stravolgimento della natura. Oggi mi verrebbe da pensare che, mentre industrie, riscaldamenti domestici, autovetture sbuffano senza limiti e sosta veleni nell’atmosfera, il nostro pensiero “ambientalista” resta imprigionato nel fascino del mistero, tipo scie chimiche, o in questioni secondarie. Così, senza volerlo, ci allontaniamo sempre di più dalla natura, e i psicofarmaci si sprecano. I cambiamenti climatici, provocati dal nostro stile di vita consumista e sprecone, sono uno slogan vuoto e lontano. E mi verrebbe da pensare che mentre in questi giorni gli allevatori si tolgono il pane di bocca, al limite del lastrico, per far sopravvivere le loro bestie, facendo sacrifici inenarrabili, la civile cultura urbana si accorgerà di loro soltanto quando ci sarà da rinfacciarli che il loro sistema di sopravvivenza, una simbiosi, anche crudele, ma che unisce uomini ed animali in un unico sistema vitale, prevede il sacrificio di una parte delle bestie. “Qualcuno dice ma chi te lo fa fare. Gli rispondo dicendo che gli animali che hai allevato con tanta cura non li puoi abbandonare ora”. Lo scrive un pastore, Fortunato Ladu, nella sua bacheca. Quelle bestie diventano, per il pastore, una materia viva che non è solo un patrimonio economico, il risultato dei sacrifici di una vita, il bene che garantisce la sopravvivenza della propria famiglia, per fare studiare i figli e portare il pane a casa. Quelle bestie vanno oltre il significato economico per interessare la sfera personale della dignità e della rappresentazione sociale, di quello che divide il buon allevatore, che fa campare bene le sue bestie, e il cattivo allevatore che non è in grado di sostentare il suo gregge, la sua mandria. Quelle bestie diventano quotidianità, e accompagnano l’esistenza dell’uomo fino a diventarne parte. Il mio pensiero, oggi, va a loro. A tutti quelli che nelle campagne, oggi, comprano il mangime per far sopravvivere le bestie, privandosi di tasca, perché la terra è dura come la pietra, e i fili dell’erba stentano a crescere. Gente che oggi fa i salti mortali per far sopravvivere i loro animali, mentre le istituzioni, spesso, sono in ritardo nel correre in aiuto. Anche perché, forse, oggi, si raccatta qualche voto in più, come quel mago della comunicazione che ha dominato la politica italiana degli ultimi decenni insegna, accarezzando un agnello in tv piuttosto che pagando dei contributi per farlo vivere, quell’agnello, anche se per pochi mesi. “Dopo tanto disastro una speranza nell’affrontare i problemi che a piccoli passi si risolve l’impossibile”, scrive ancora Fortunato nella sua bacheca. Che chi è abituato ad affrontare i rigori della natura, mi viene da dire, è abituato ad affrontare qualunque difficoltà, anche quelle che non ti aspetti. E senza psicofarmaci.
foto 3BMeteo
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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