Non mi ricordo molto dell’esame di maturità, solo qualche immagine sfocata e una risposta maleducata al commissario di matematica, un napoletano. Tra le immagini sfocate comprendo anche quelle della sera, una bevuta esagerata in un ristorante della Costa. La maturità non disturba i miei sonni, non mi riporta ansie in gola, non merita fotografie in un album a parte. Anche i ricordi del liceo, che avrei scommesso indelebili, svaniscono lentamente, senza rammarico. Ero un po’ artista e un po’ stupido, ma non ho mai saputo dove finisse lo stupido e dove iniziasse l’artista.
Ieri notte ho visto Un ragazzo d’oro, un film di Pupi Avati. La svolta della storia è quando il protagonista indossa un abito del padre per presentarsi ad una cerimonia. Ed eccomi tornare in mente la maturità. Non l’esame, la maturità. Andrea, il mio compagno di banco, un giorno si presentò a scuola tutto acchitato, con giacca e cravatta e la solita abbondante gelatina nei lunghi capelli corvini. Si vedeva che l’abito era vecchio, ma conservato con tutti i riguardi. Andrea, alto e slanciato, lo indossava con una naturale eleganza. Era la primavera del 1987. Il sorriso esuberante di Andrea si sarebbe spento per sempre l’estate seguente, tra le lamiere di un’auto finita a testa in giù in un piazzale polveroso.
La moda descrive ampi cerchi nel tempo, quando il cerchio si chiude si torna al punto di partenza. Nel 1987 la moda aveva gli stessi tagli di quando i nostri genitori erano giovani, nel 1987 indossare l’abito di un padre non ti faceva sentire fuori posto. Ma forse non era solo una faccenda di geometrie sartoriali. Il giorno dopo molti di noi si presentarono in classe con un abito del padre. Sembrava un matrimonio, non una lezione al liceo Lorenzo Mossa, sezione staccata di Arzachena. Incuriosito babbo mi concesse l’abito del suo matrimonio, di lana nera, vecchio di 19 anni. Mi calzava a pennello.
Figli travestiti da padri, ci guardavamo l’un l’altro orgogliosi e ci scambiammo le storie di quelle giacche e di quei pantaloni. Tutti erano serviti ad onorare giornate importanti, occasioni solenni, momenti in cui i nostri genitori erano stati felici o sotto esame: le nozze, il primo giorno in ufficio, un viaggio, un colloquio. Noi cercavamo di essere degni di quelle stoffe.
Eravamo ragazzi e non vedevamo l’ora di essere uomini. Quel giorno del 1987 ci levammo di dosso il sorriso strafottente dell’adolescenza e ammettemmo tutti di essere figli. È stato quello il mio esame di maturità.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
Da Mattarella a Zelensky passando per Sanremo.
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
Un rider non si guarda in faccia (di Cosimo Filigheddu)
Ciao a Franco dei “ricchi e poveri”. (di Giampaolo Cassitta)
La musica che gira intorno all’Ucraina. (di Giampaolo Cassitta)
22 aprile 1945: nasce Demetrio Stratos: la voce dell’anima. (di Giampaolo Cassitta)
Ha vinto la musica (di Giampaolo Cassitta)
Sanremo non esiste (di Francesco Giorgioni)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.022 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design