Questa cosa della Scuola di San Donato e del Vescovo di Sassari, per come viene narrata e discussa, sta assumendo i contorni del grottesco, volendo dire con ciò di una cosa un po’ comica e però tragica. Certo che, a vedere il clamore generato e l’ambiguità e la voluta distorsione dei fatti di chi racconta, viene da raccomandare alle scuole di tenersi alla larga dal troppo impegno, di pensare meno, di faticare meno, di stare defilate. Insomma, non si agitino, lascino le cose come stanno e, infine, e questa è la perla: “Rispettino la cultura corrente”, che sarebbe a dire il normale laissez-faire, il tran-tran insomma. Già sono mal pagati questi lavoratori della scuola, che poi si mettano anche a pensare è davvero una cosa esagerata. Che cosa è successo dunque alla scuola primaria di San Donato in Sassari ? E’ successo che questa scuola, che è la più “antica” tra le scuole di base della Città, opera nel vecchio centro cittadino, nella sua parte più degradata e in quella più segnata dalla residenza di famiglie immigrate e di diverse etnie ; famiglie che hanno trovato nel quartiere modesti affitti, vi si sono insediate e contraddistinguono sempre più l’area urbana. E’ successo che la scuola si è trovata davanti a due scelte, la prima, semplice e piana, era quella di proporre l’offerta formativa media e corrente delle scuole italiane. E’ tutto già fatto, ci sono i testi scolastici eguali per tutti, ci sono guide didattiche, anche ben fatte, che ti propongono giorno per giorno le cose che si devono fare, ci sono abitudini consolidate che se ripetute, ti danno un risultato pacifico e garantito. Un po’ insapore, ma garantito. La seconda scelta era quella invece più complicata, fastidiosa, rischiosa, di mettersi a pensare, a osservare l’ambiente in cui si deve operare, a proporre modalità nuove e più vicine alle necessità educative specifiche del luogo. Una modalità fondata sulla rilevazione dei bisogni degli alunni, di quegli specifici alunni e sulla proposta finalizzata alla soddisfazione di quei bisogni. Tra gli impegni che la scuola (questa scuola di San Donato) assume, c’è quello di introdurre tutti gli elementi comuni al sentire dell’infanzia e di esaminare volta per volta le situazioni che creino diversificazione e/o disagio. Ci vuole tempo e voglia ed entusiasmo e anche una qualche dose di coraggio a realizzare una offerta formativa importante in una scuola multietnica. E la comunità scolastica di San Donato, a partire dal personale ausiliario, a quello amministrativo, ai docenti, alla dirigente, tutta la comunità scolastica insomma, trova tempo, voglia, entusiasmo e coraggio. Si sperimenta, ci si apre alle diverse culture, si cercano alleanze e scambi con le altre scuole d’Italia e d’Europa e i risultati arrivano, tanto da essere menzionate fra le prime 15 scuole europee fondate sull’integrazione. Chiaro il concetto ? La Scuola di San Donato, degradato quartiere di una provinciale città della marginale Sardegna, ha avuto il riconoscimento di essere fra le prime “Stars” scolastiche d’ Europa nel campo dell’integrazione. E’ frutto del caso ? penso sia il frutto dell’impegno di una comunità scolastica di eccellenza. Ne avessimo. Ce ne fossero di docenti e dirigenti scolastici così. Questa crescita scolastica avviene mentre il mondo è traversato dal dramma del terrorismo religioso, dall’intolleranza, dalla stupidità umana. Ve la sentireste voi di continuare a integrare mentre a Beirut come a Parigi ci si massacra ? E’ dura. Ma questi della scuola di San Donato sono insistenti e anche un po’ incoscienti. E proseguono, proseguono alla ricerca di equilibri educativi che portino alla unità e cercando di evitare gli elementi di divaricazione. Succede un giorno che il signor Vescovo di Sassari avvia nella diocesi la sua visita pastorale e, nel quadro di questa, pone anche la visita alla Scuola di San Donato. Vuole entrare a scuola, visitare le classi, portare il suo messaggio. Potrebbe chiamare la dirigente scolastica ed esporre questo desiderio e spiegare in cosa consista la visita e come intende svolgerla. Insomma potrebbe, con assoluta semplicità e ovvio obbligo comportamentale, chiedere di essere ricevuto o ospitato. Si fa così quando si va in casa d’altri. Ancor più in un luogo notoriamente multietnico e multireligioso. Ma non fa questo, sceglie invece di fare annunciare le proprie intenzioni dal parroco del quartiere. La dirigente scolastica rileva il problema e fa notare che, così posta e così imposta, la visita corre il rischio di modificare gli equilibri della scuola che così faticosamente vengono raggiunti. Non oppone un rifiuto, ma convoca, come è giusto e previsto dalle leggi della scuola il collegio dei docenti. E la proposta che ne scaturisce non contiene alcun rigetto, alcuna chiusura, ma semmai contiene una più intelligente proposta. Siccome La metà degli alunni dovrà restare a scuola, chiederemo agli alunni restanti chi voglia partecipare all’incontro col Vescovo e quindi li accompagneremo in chiesa. Con minor disturbo per il Vescovo, con più giusta collocazione ambientale dell’incontro e, certamente, con qualche minore e più cortese grado di invasività. Quindi, ancora una volta, il corpo docente della scuola di San Donato pensa, riflette, non rifiuta, ma integra, propone. E il Vescovo si offende e due genitori (due) protestano e un consigliere comunale si fa paladino della misera crociata e i giornali inzuppano il pane nel sugo della moda. E intanto, accanitamente, in quella scuola si continua a lavorare e arriva il sostegno della comunità scolastica europea impegnata sullo stesso fronte. E come finisce ? Finisce che chi ha più cultura la mette in campo e vince. Vince la Scuola di San Donato. Con qualche ferita, ma vince.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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