“Non mi funziona l’aria condizionata”. “Ho messo l’aria condizionata a palla”. “Oggi, con la basca (in slang campidanese “caldo torrido”) che c’è senza aria non si può vivere”. Modi di dire entrati nel nostro linguaggio quotidiano. L’aria condizionata, una volta un optional in tutte le automobili oggi è praticamente di serie anche nelle più scalcinate. Eppure abbiamo vissuto gran tutta la nostra infanzia e gran parte della nostra adolescenza senza sapere neppure cosa fosse questo “optional” da ricconi e presente, forse, soltanto nelle auto americane. I nostri finestrini erano obbligatoriamente “a manovella” e il vento caldo dell’estate ci accompagnava sempre all’interno di una felicità appiccicosa, umida e dolcissima. La nostra vita, almeno a quei tempi, non era condizionata da niente. Nelle auto non c’era neppure l’autoradio e la musica erano le nostre voci sguaiate a finestrini aperti ad urlare a squarciagola: “Rivedo ancora il treno, allontanarsi e tu” oppure “ma cosa è stato di quel tempo che sfidava il vento che faceva fremere”. Quel tempo è passato, come la naja non più obbligatoria e nessuno ormai può cantare “tornerò” e i passerotti non si vedono più nelle città invase da piccioni e da gabbiani. Le auto, d’estate, son tutte ermeticamente chiuse e solo di rado si intravvede un temerario con il finestrino abbassato. Atteggiamento molto vintage. Erano anni rudi e quasi incredibili e nessuno sapeva che il 10 novembre del 1939, a Chicago, veniva presentata la prima vettura di serie con aria condizionata. Prodotta dalla Packard Motor Company di Detroit ebbe un incredibile successo. E tutti, pian piano, cominciammo a tenere i finestrini chiusi ad un mondo incattivito, senza più sentire il vento caldo dell’estate. Tutto molto fresco, arioso, perfetto. Forse troppo. Meno appiccicoso ma più triste.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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