Questo fatto risale a più di quattro anni fa. Da subito, a caldo, avevo deciso di scriverci un pezzo.
Invece, non so perché, ne racconto solo ora.
Era il 2011, credo ottobre. Io e la mia famiglia, reduci da una bellissima estate in compagnia di alcuni amici, stavamo progettando di andare a trovarli in Friuli, così da passare con loro anche il Natale.
Una mattina, mia moglie riceve una telefonata. Una donna con accento gallurese le comunica che abbiamo vinto un viaggio. Non avendo mai partecipato ad alcun concorso, mia moglie pensa ad uno scherzo e fa, gentilmente, per attaccare. La voce dall’altra parte, quasi preoccupata, insiste: “Signora aspetti, non attacchi. Guardi che non è uno scherzo. Il viaggio lo avete vinto davvero”; dopodiché la signora fornisce una serie di istruzioni per cui mia moglie decide di sospendere il giudizio e, una volta salutata la donna, mi chiama.
Mi riferisce che il nostro numero di telefono –presente sull’elenco- è stato sorteggiato con altri per ricevere un omaggio: un viaggio in Italia parzialmente a spese nostre, ma con la possibilità di mangiare e dormire quasi gratis in una serie di alberghi convenzionati. L’unica cosa che dobbiamo fare è presentarci la domenica successiva a Cannigione, presso un albergo di cui non ricordo il nome, chiedere di una certa Gianna e indicare a lei un codice che ci è stato comunicato per telefono.
Scettici ma incuriositi, decidiamo di presentarci all’appuntamento: “Se è vero, abbiamo il viaggio in Friuli mezzo pagato. Male che va, ci siamo fatti un giro a Cannigione”.
La domenica successiva ci imbarchiamo sul traghetto armati di figli, e partiamo. È una bellissima giornata. La litoranea, da Palau alle Saline, è un ribollire di vita e profumi che mi conferma quanta fortuna si nasconda nel semplice fatto di vivere in Gallura.
Dopo pochi minuti raggiungiamo l’albergo, parcheggiamo e iniziamo a cercare la Reception.
C’è un certo movimento. Sarebbe normale se fosse luglio mentre è decisamente troppo per un albergo della costa gallurese fuori stagione. Il motivo è semplice: tutti i presenti hanno ricevuto la stessa telefonata.
Chiediamo di Gianna, diamo la nostra parola d’ordine e veniamo accompagnati in una grande sala piena di tavolini già occupati. Si sentono voci, brusio. Ogni tanto parte un applauso. Ci accoglie un certo Luca, un giovanotto ben vestito e sorridente, scattante, più giovane di me, che ci parla con tono sicuro di una proposta che di lì a breve ci verrà illustrata sottolineando che, comunque, noi il viaggio lo abbiamo vinto davvero.
Sempre più incuriositi da quello strano commercio, veniamo fatti accomodare in un tavolino con tre sedie: due per me e mia moglie e una per il venditore. I figli non erano previsti, e non è un dettaglio qualunque. Infatti il nostro Cicerone fa portare subito due sedie. Noi però lo blocchiamo: i figli possono stare in braccio. Il venditore si irrigidisce e gli scappa una frase strana: “In realtà loro non dovrebbero stare in braccio”. Si capisce anche troppo bene che siamo finiti dentro un format, un rito, un algoritmo studiato a tavolino per catturare clienti usando tecniche di comunicazione verbale e –soprattutto- non verbale.
Il venditore si arrende alla nostra fermezza e inizia ad illustrarci i suoi prodotti con le armi che gli sono rimaste. Lo schema logistico, legato evidentemente allo spazio minimo vitale, è saltato; gli restano solo le parole e le immagini.
Il “prodotto” è una batteria di pentole, ma non una batteria come tutte le altre. Si tratta di una batteria completa fatta di almeno venti pezzi, costruiti per la cottura a induzione. Chiediamo subito quanto costa, ma il ragazzo cambia discorso e ci chiede di poter illustrare prima la merce. È sempre più evidente che deve seguire uno schema e che noi non siamo i clienti migliori che gli siano mai capitati. Stiamo al gioco e lo lasciamo parlare. Il prodotto è effettivamente di qualità, ma questo passa in secondo piano rispetto al congegno messo in piedi per venderlo. A un certo punto una voce al microfono interrompe i dialoghi nei vari tavolini e un collega del nostro agente, con enfasi, invita tutti a fare un applauso per i suoi clienti che hanno appena accettato di acquistare le pentole. Parte l’applauso più strano che io ricordi, tutto per quei due fortunati. E io me li guardo. Mi danno le spalle. Sono una coppia di ottantenni. Dagli abiti sembrano gente semplice, come la stragrande maggioranza delle coppie di quell’età. Lei vestita con una gonna lunga e un golfino, lui con un gilè e i pantaloni di lana grigi. Tiene la giacca posata su una gamba. Non so perché, ma il fisico asciutto e un po’ curvo mi fanno pensare che per tutta la vita abbia lavorato la terra e che forse non ha mai smesso. Intanto l’applauso continua. Loro, i fortunati destinatari, si guardano timidamente e non aprono bocca. Sembra quasi che si vergognino, che vogliano chiedere scusa. Il pensiero che mi sale a galla però è un altro: li hanno fregati. A quel punto io e mia moglie ci guardiamo e con due monosillabi decidiamo il da farsi. Il venditore riprende il discorso da dove lo aveva interrotto. La situazione gli sta sfuggendo di mano. Insisto col chiedere il prezzo. Lui prende un altro po’ di tempo e chiama una collega, una che gira i tavoli da un po’ e sembra occuparsi di tutti contemporaneamente. Il capo è lei. Il tipo gli fa presente che abbiamo delle perplessità, allora lei gli suggerisce (in realtà lo sta autorizzando) ad alzare un po’ l’offerta. La tipa si allontana e la trattativa riprende. A quel punto torno alla carica sul prezzo e lì non riesce a dirmi di no. La batteria costa quanto avevamo pagato, sette anni prima, la Punto con cui siamo arrivati: 10.000 EURO. Ci scappa un sorriso. Lui, attento ad ogni sfumatura della nostra voce, se ne accorge e smette di sorridere. Sembra preoccupato. La cosa si trascina per un po’. Ormai ha capito che non compriamo. A un certo punto richiama il capo, la ragazza di prima. Lei si avvicina, lui gli dice che non ci muoviamo dalle nostre posizioni e le chiede, letteralmente: “insisto o li lascio andare?” lei: “Lasciali andare”. Me la guardo. Non sarebbe neanche brutta ma ha gli occhi storti, e non è strabismo, ne sono sicuro. È una smorfia. La sua bocca sorride, lo sguardo no. La voce è spezzata. Sembra che le esca non dal petto ma dalla testa. È schiacciata dal meccanismo che dirige, è un pezzo del meccanismo stesso, una cinghia che riceve e trasmette input, notizie di soldi, notizie di affari. Ed è, lei stessa, il collegamento con un meccanismo più grande; sembra pronta a strapparsi da un momento all’altro. Forse si è già strappata, e il suo sguardo storto è quello che resta delle riparazioni che ha dovuto subire per restare in quella posizione, per poter continuare a fare la cinghia.
Butto lo sguardo sui due vecchietti di prima. Sono intenti a firmare fogli e fogli. Mi viene da chiedermi cosa penseranno una volta rientrati a casa.
Ormai ci siamo alzati. Luca, il venditore, adesso ha una faccia stanca. Sembra un’altra persona, sembra tornato normale. “Vi accompagno” ci dice.
Mentre siamo fuori si accende una sigaretta e ciondola accanto a noi. Andiamo verso la nostra Punto che ormai ne vale forse tremila ma è ancora buona. Luca è un po’ più gobbo, quasi si trascina. Si capisce che è deluso, ma cerca di essere gentile. Una gentilezza vera, perché ormai è chiaro che siamo il suo piccolo (o grande?) fallimento e che da noi non potrà ottenere né soldi, né complimenti, né promozioni. Ci dice che viene da Bologna, e che fa questo lavoro per pagarsi non so quali studi.
Ci salutiamo con una stretta di mano.
Ricordo che prima di andare ha detto qualcosa del tipo: “Beati voi, che abitate qui”.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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