Leggete questi numeri. 14615 attentati; 429 morti; oltre 2000 feriti; 714 sedi clandestine scoperte. È il bilancio definitivo di circa quindici anni di terrorismo politico in Italia, tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli ottanta. Forse ce ne siamo dimenticati, ma noi il fanatismo che arma le mani dei giovani lo abbiamo conosciuto bene. Molto prima che per terrorismo si intendesse solo quello di ispirazione musulmana integralista. La fonte di questi dati è La notte della Repubblica di Sergio Zavoli, una Bibbia per chiunque voglia seguire la scia di sangue di quel tempo terribile. Questo libro andrebbe inserito nei programmi ministeriali e fatto leggere nelle scuole superiori. Lo so, sembra la solita frase. Invece non lo è. Stiamo allevando giovani generazioni che associano il terrorismo alla migrazione, al movimento dei popoli, e non avendo memoria non sanno che i brodi di coltura della violenza sono e sono stati altri. Quando accadono fatti gravi come quelli di Parigi, cerco di consultare i miei amici insegnanti per capire quali siano le reazioni delle menti più giovani. Le risposte alle mie domande sono state raggelanti, spesso accompagnate dalla rassegnazione di questi docenti. Dai confronti in classe, la maggioranza degli studenti delle scuole dell’obbligo ritiene che bisognerebbe bombardare quegli Stati da cui giungono i profughi, oppure impedire che i barconi carichi di migranti arrivino in Europa. Per questi ragazzi, emigrazione e terrorismo hanno un rapporto diretto. Di fronte ad un tam tam così insistente, difficile metterli di fronte ad un dato di fatto di tutta evidenza: i terroristi sono giovani quasi sempre nati e cresciuti in Europa, non sono arrivati sui barconi e non hanno neppure conosciuto direttamente l’immigrazione. Svelare gli anni di piombo significherebbe aprire la loro mente alla complessità del terrorismo, fanatismo che si alimenta da fonti diverse. Il terrorismo rosso, per dire, nacque tra Milano, Trento e Reggio Emilia, l’eversione nera principalmente dalle formazioni neofasciste del nord Italia. Pochi giorni fa Eugenio Scalfari ha scritto che la strage di Parigi non ha alcuna affinità con gli anni di piombo, perché quel terrorismo colpiva individui accuratamente selezionati per il loro ruolo politico mentre Isis uccide a caso, gente comune. Non è vero neppure questo. Alla stazione di Bologna, a Piazza Fontana, sull’Italicus vennero massacrate persone comuni che ebbero la sfortuna di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. Come le vittime di una settimana fa a Parigi. Se vogliamo crescere una generazione più consapevole e libera dal razzismo, non c’è altra strada se non la rilettura della storia.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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