Non ve l’hanno mai raccontato quando eravate bambini, cercando di farvi paura? E voi fingevate di crederci, perché quando le leggende vengono filtrate dalla cionfra diventano teatro dell’arte, c’è un copione generale e poi un po’ si inventa, ma la regola fondamentale è che tutti, piccoli e grandi, poveri e ricchi, eruditi e ignorantoni, tutti devono rispettare il gioco delle parti.
Uno finge di farti paura e l’altro finge di avere paura.
Tutti. A parte don Asciuttacubi, che quella notte ebbe paura davvero. Don Asciuttacubi. Dove don significa che era prete e il resto che asciugava le botti, immaginatevi voi come.
E questo prete, don Asciattacubi, era detto anche don Cannabazzu, perché quando a notte il vindiolo lo buttava fuori a calci perché doveva chiudere, lui sembrava uno straccio da lavare in terra.
Siccome era anziano alla fine lo avevano fatto vice parroco,per dire che aveva un grado,ma era così ubriacone che l’arcivescovo monsignore Arcangelo Mazzotti di incarichi veri non gliene dava neppure se erano vice incarichi.
Abitava in questa casetta all’ultimo piano di una palazzina di quelle vecchie vecchie appoggiate alla sua chiesa, con le scale strette. Pensate che, negli anni Cinquanta, quand’è morto, la bara non ci passava per le scale e i becchini la dovevano girare e strizzare a ogni pianerottolo e sbatteva sui muri e dalla strada sentivi tum tum e tunfete!
E passa mio zio Gavino che andava verso il Municipio, ché lavorava là, sente il casino e chiede a uno
-E cos’è chisthu aburotu?
-La cascia di don Asciattacubi no vi passa i’ lu purthari.
-Cazzu, morthu don Cannabazzu è? Abà abascia lu presgiu di lu vinu.
Non so se davvero crollò il prezzo del vino. Ma mi dicono che ai suoi funerali ridevano tutti perché anche se a don Asciattacubi in fondo gli volevano bene, lo accompagnarono a Calamasciu ricordando, più che lui, il famoso scherzo del 2 novembre del ’43. E ridevano tanto che il celebrante, tra un requiescat e l’altro, si rivolse ai fedeli
-Aiò, parò. Abà bastha chi m’è ischappendi la risa puru a me.
Allora, il 2 novembre del 1943 don Asciattacubi a momenti ci lasciò la pelle in cattedrale una decina d’anni prima che gli toccasse. Fu a causa di un infarto o qualcosa del genere. “Attacco di cuore”, fu la generica diagnosi di un medico, tra gli organizzatori dello scherzo, che gli prestò le prime cure e lo portò a casa sua dove andò ogni giorno a visitarlo lasciando istruzioni per le medicine alla perpetua che era tonta come il culo e si metteva a piangere ogni volta che doveva somministrare le gocce a don Asciattacubi
-Nosthru Signori, e si abà chisthu mi mori?
E lui, con un filo di voce, dal capezzale le faceva coraggio.
-Andadinni, pizzona di l’isthrea. Andadinni e torra cu una tazzitta di vinu.
E questo colpo perché?
La premessa è che quel ’43 anche a Sassari era stato piuttosto laborioso per la Chiesa.
C’erano i bombardamenti. Cagliari l’avevano massacrata e Sassari era piena di sfollati che venivano dalla capitale, distribuiti in numerose case ospitali, in una organizzazione gestita in buona misura dalle parrocchie.
I sassaresi disvelarono in quell’occasione il loro grande cuore dimostrando quanto fossero e ancora siano banali i luoghi comuni su queste rivalità tra Sassari e Cagliari. Aprirono le loro case ai senza tetto cagliaritani limitandosi a chiedere loro ogni mattina appena si levavano dal letto
-Ma ora che sono passati i bombardieri americani, si nota molto la differenza? Perché anche prima sembravate tutti bumbardhaddi.
Poi a maggio ci fu la questione del voto alla Madonnina perché non facessero lo stesso scherzo anche a Sassari dopo lo sgancio sulla stazione ferroviaria con pochi morti e pochi danni. In effetti i bombardieri dalle nostre parti non si videro più ma comunque i preti avevano il loro bel daffare.
A parte don Asciuttacubi che, per dire che tipo era, l’ 8 settembre, armistizio, quando gli comunicarono le novità, sollevò gli occhi acquosi (diciamo acqua), si solleticò il grande naso rosso solcato da vene e venuzze e chiese
-Armistizio? E parchì, in gherra erami?
In questo suo piccolo mondo isolato e lontano don Asciattacubi viveva felice. L’arcivescovo un giorno lo rimproverò
-Siete un ignavo!
Lui, smarrito, piagnucolò
-Ma eu, ma eu… eu no fozzu mari a nisciunu
Monsignor Mazzotti, che come è noto era in odore di santità, non lo prese a calci e si limitò a replicare
-Il problema, don Asciuttacubi, è che non fate del bene a nessuno
In questo suo estraniamento pacifico e innocuo dalla vita degli altri, don Asciuttacubi compiva però un effettivo peccato: si beveva i soldi delle messe da morto senza celebrarle.
Cioè, quando qualche imprudente gli consegnava una busta con una somma per una messa in suffragio di qualche suo defunto, don Asciuttacubi correva subito dal vindiolu e si dimenticava di dire la messa.
Ora il fatto è che a Sassari tra le leggende dei morti c’era anche quella sui preti che prendevano i soldi senza celebrare le relative messe. Questi preti erano condannati da morti a tornare in terra a celebrarle per un pubblico di de cuius pari loro. E il festoso evento si celebrava usualmente la notte tra il 1 e il 2 novembre a San Nicola. Non ci credeva nessuno, naturalmente, e la leggenda si tirava fuori la notte dei morti per fare paura ai bambini, come dicevo prima. Ma noi, me lo ricordo come fosse ieri e invece è un fottìo di anni fa, la sera tardi, quando in cattedrale si chiudevano i portoni, andavamo lì a bussare per fare le prove di coraggio. Insomma, siccome in quel novembre 1943 … tra la guerra che lambiva la Sardegna e la fame che non si limitava a lambirla… i sassaresi …no abiani altrhi pinsamenti, un gruppo di benpensanti decise di fare questo scherzo a don Cannabazzu. Dopo la mezzanotte del giorno dei Santi, una donna (per rendere la cosa più credibile, visto che i maschi sassaresi in quell’epoca ritenevano che le donne fossero meno propense alla cionfra: balle, aveste conosciuto mamma) riuscì a svegliare la perpetua prendendo a calci la porta dell’appartamentino… svegliare la perpetua perché di svegliare lui semplicemente bussando alla porta non se ne parlava neppure.
Alla fine la perpetua e l’altra riuscirono a fargli riprendere i sensi e gli dissero che l’arcivescovo lo aspettava in cattedrale. -Monsignori… a me? -Emmu, a vosthè. -A dinotti? -Emmu, a dinotti -E pa fa cosa? La donna gli spiegò che c’era da rinnovare il voto per i bombardamenti.
La perpetua, che era più attenta del suo datore di lavoro, si stupì
-E ca bumbardhamenti, si abà cu li mericani e l’iglesi semmu in pazi.
La donna complice dello scherzo ebbe un attimo di smarrimento: in casa di don Asciuttacubi non si aspettava tanta sagacia. Ma subito si riprese.
-E si zi bumbardheggiani li tedeschi?
Insomma, occorreva una complessa e improvvisa cerimonia per la quale non bastava soltanto tutto il capitolo turritano ma ci voleva ogni prete e frate disponibile. Bestemmiando, don Asciuttacubi si levò e accompagnato dalla donna che lo sorreggeva arrivò al Duomo. Chiaramente qualcuno all’interno era complice, altrimenti com’è che a quell’ora il portone laterale era socchiuso e un paio di lampade erano accese creando un lucore soffuso che ci vedevi e non ci vedevi? Insomma, don Asciuttacubi si addentrò tra i banchi dove sedevano pochi fedeli immobili mentre un oscuro celebrante officiava in lontananza con parole misteriose vagamente latineggianti. A un certo punto uno con il viso coperto da una maschera bianca si alzò e lo fronteggiò -Pentiti, prete peccatore, per le messe che ci hai rubato! Poi, rapido, l’uomo mascherato si avvicinò a un altro dei fedeli seduti sui banchi e gli strappò di dosso un cappellaccio che ricopriva capo e volto, rivelando il ghigno di un teschio. Chissà dove cazzo le avevano trovate e quanto ci avevano messo a costruire un manichino di vere ossa di morto. Don Asciuttacubi lo guardò e sospirò -Nosthru Signori Gesù Christhu, agiudeddimi! E crollò al suolo. Si salvò.
E per farlo riprendere bene e senza conseguenze gli rivelarono che era tutto uno scherzo. Quando guarì, alla prima uscita da casa si presentò subito dal vindiolo di fiducia. -E già lu soggu chi chissa notti i’ gesgia v’eri puru tu. Ti pardhuneggiu. Parò abà escimi a bì e no t’attribì a dumandammi dinà. L’uomo obbedì.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design