Domanda: la nuova ondata di sovranismo sardo vale anche per le coste? Mi spiego meglio. Da qualche tempo, l’allarmata attenzione di un certo numero di opinion leader volge verso il rischio di una Sardegna trasformata in colonia agricola, con migliaia di ettari di suolo da destinare a strampalate coltivazioni da cui ricavare biomasse e, dunque, energia. È un pericolo reale, da esaminare con estrema attenzione, ed è doveroso che gli intellettuali più autorevoli puntino l’occhio di bue delle loro analisi su questa minaccia. Nicolò Migheli, per fare un nome, ha scritto una riflessione di grande forza su questi possibili scenari. Va anche detto che la polemica non è nuova e le preoccupazioni erano già concrete qualche anno fa, quando venne lanciato il progetto della chimica verde Matrica, nel sassarese.
Peraltro i doveri dell’autosufficienza alimentare, di una Sardegna capace di provvedere a sé stessa e abbastanza forte da gestire le proprie risorse, dovrebbero stare a cuore a tutti, anche a chi non ha pretese indipendentiste.
Vedendo crescere l’attenzione su questo tema, qualcuno di questi opinion leader ha gonfiato il petto per far notare, con incontenibile orgoglio, che “io di questo rischio sto parlando già da tempo, non pensiate di esservi inventati nulla”.
Bravi. Solo che a me, in quello stesso istante, è esplosa in testa la domanda che avete letto in cima a questo pezzo. Vale il sovranismo sulle coste della Sardegna? Sono una risorsa da difendere, le coste sarde?
La domanda me la sono posta perché, curiosamente, tra coloro che soffiano sul vento di questo nuovo sovranismo trovo anche elementi che, in passato, pubblicamente e privatamente si sono stracciati le vesti per smantellare il Piano paesaggistico regionale, il primo strumento di difesa dei litorali. Allora: l’entroterra va difeso da blitz di speculatori senza scrupoli e i litorali no?
Lo scrivo di nuovo, dopo averlo già scritto mille altre volte in passato. Io vivo in Costa Smeralda, ho sempre vissuto dignitosamente e considero il turismo sostenibile una risorsa fondamentale: sul piano economico ma anche su quello culturale, nonché uno strumento utilissimo per diffondere ricchezza ovunque.
Solo che speculazione edilizia e turismo non c’entrano assolutamente l’una con l’altro: anche questo lo hanno detto mille volte, prima di me, commentatori molto più autorevoli di me. Le centinaia di villette a schiera costruite sul golfo di Sa Marinedda, a Olbia, secondo me con la valorizzazione del turismo non c’entrano un fico secco: sono servite a ricoprire di cemento quel poco di litorale ancora libero rimasto. E lo stesso potrei dire per Poltu Cuatu, ad Arzachena, e per tanti altri casi di condomini e residence, segmenti di quella città lineare che, per nove mesi all’anno, resta deserta e non crea economia. Crea lavoro per i sei mesi di vita dei cantieri e, forse, proventi nelle tasche di chi investe sul cemento, magari per ripulire soldi sporchi in arrivo dalle mafie. È un fenomeno che sovverte i connotati dei paesaggi e, in passato, ha contribuito a spopolare le campagne. Esattamente come avverrà se i suoli di una parte della Sardegna saranno piantati a cardi.
Tra l’esproprio definitivo ed irrimediabile delle coste e quello delle campagne io non vedo grandi differenze. E se qualcuno obietta che i costruttori spesso sono sardi, io rispondo: e allora?
Cosa c’entra, direte voi, la nuova ondata di sovranismo con la speculazione edilizia? Perché associo questi due elementi? La settimana scorsa, un articolo di Alfredo Franchini su La Nuova Sardegna ha aperto una breccia su alcuni aspetti della nuova legge urbanistica all’esame del Consiglio regionale. Per farla breve, secondo queste ipotesi (Franchini è un ottimo giornalista e non si ha motivo di dubitare delle sue fonti) il divieto di costruire entro i trecento metri dal mare cadrebbe e una nuova valanga di metri cubi potrebbe abbattersi sulle coste sarde. Molto più del milione di metri cubi che lo stesso Franchini stima.
Ecco, io vorrei sapere se anche questa prospettiva rappresenti per i sovranisti un pericolo, grave almeno quanto quello dell’assalto alle campagne cui si preparano le multinazionali dell’energia.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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