Davanti al quadro di Renato Guttuso “i funerali di Togliatti” mi sono perso. L’ho visto a Torino, in prestito da Bologna, in una mostra di qualche anno fa. Maestoso, grande, immenso. Quasi come la Guernica di Picasso. Volti bianchi in mezzo a drappi rossi. Volti severi e muti che non guardano, non osservano, volti solcati dalla costernazione perché davanti a loro c’è “il migliore”, quello che ha rappresentato, per molti, una possibilità di riscossa, l’idea che anche la classe operaia potesse arrivare in paradiso. Pura retorica, demagogia, iperbole comunista. Tutto vero, ma quel quadro, quel quadro è bellissimo. I volti di Lenin, Stalin Gramsci, di Vittorini ed altri, rappresentano il milione di donne e uomini che nel 1964 accompagnarono il feretro del più controverso e amato segretario del Partito Comunista Italiano. Un quadro densamente politico, volti che raccontano un pezzo d’Italia e di mondo che non c’è più. Renato Guttuso, siciliano verace (di Bagheria) muore a Roma il 18 gennaio 1987 portando con sé tutti i colori caldi e intensi di una terra arida e bellissima.Davanti ai funerali di Togliatti ti senti piccolo, infinitesimale. Quelle bandiere sembra che si muovano, si agitino, cantino quel “bandiera rossa trionferà” che ha accompagnato tante manifestazioni, tante speranze e molte illusioni. Davanti a questo dipinto comprendi la complessità della storia e del passato e, guardando al presente, ti siedi davanti a quel quadro ammasso di volti e ideologia e dici molto sottovoce: “Come siamo giunti fin qui? Come abbiamo fatto? Come è stato possibile? Già: come?Volevamo tutti abbracciare il sol dell’avvenire ma ci siamo seduti ad ovest, dalla parte sbagliata.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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