Non ho mai commentato le sentenze. Le ho sempre rispettate. Così come continuo a rispettare chi non è condannato in via definitiva. L’ex infermiera Daniela Poggiali, 44 anni, è stata condannata all’ergastolo per l’omicidio di Rosa Calderoni, l’anziana paziente che la mattina dell’8 aprile del 2014 è morta all’ospedale di Lugo, nel ravennate, dov’era ricoverata, a causa di un’iniezione letale di potassio. Siamo, chiaramente alla sentenza di primo grado. Un tassello importante, ma ancora ci sono due gradi di giudizio. Per me, quindi, Daniela Poggiali è ancora in attesa di una condanna definitiva. Però è stata condannata all’ergastolo. E non è una passeggiata. Perché una pena così dura? Secondo i giudici Daniela Poggiali ha ucciso, con un’iniezione letale una donna nella stanza dell’ospedale Umberto I, a Lugo. Ci sono state, inoltre, molte morti sospette sempre in sua presenza (che, comunque fanno parte di altre indagini e sono “fuori” da questo processo). La cosa che mi ha colpito sono i “selfie” che ritraggono Daniela Poggioni mentre fa delle smorfie accanto ad una paziente (non la signora Calderoni) appena morta. L’imputata ha un avvocato che, giustamente afferma che “Quello delle foto fu un fatto moralmente e disciplinarmente inaccettabile. Ma questo non fa di lei un’assassina”. Certo. Ne sono convinto anche io. Fermiamoci però un attimo. Sospendendo il giudizio sull’omicidio, perché ci sarà ancora un appello e una cassazione a confermare o modificare la condanna in primo grado, mi chiedo sommessamente: perché siamo arrivati qui? Che senso ha questo voler immortalare tutti gli attimi, tutti i momenti, tutti i respiri? Cosa resterà di tutti questi selfie, di queste foto che nessuno stampa più, di questo voler esistere solo in maniera virtuale? Che senso ha sorridere davanti ad un morto? Il selfie non c’entra con l’omicidio. Certo. Ma aiuta a capire il baratro che ci stiamo velocemente e terribilmente costruendo.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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