Non è bastato il silenzio lunghissimo, quasi un’apnea infinita. Non è bastata la fiaccolata di un intero paese, Capoterra, che camminava con piccoli passi ricolmi di speranza. Non sono bastate le molte preghiere e gli appelli e i contatti della nostra intelligence con i serivzi libici. Dopo sette lunghissimi mesi di un rumore sordo, da quel deserto è giunta la voce che nessuno voleva sentire: due ostaggi italiani sono stati Uccisi. Uno di loro, Fausto Piano, era partito dalla Sardegna, da Capoterra, crocevia di mare, sole, disoccupazione, alluvione, poche speranze. Piano era stato rapito alla fine di luglio a Zuara, in Libia, mentre viaggiava a bordo di un fuoristrada insieme ad altri tre colleghi. Cose che capitano in quei luoghi dove hanno ammassato la speranza in un baratro immenso. Dove gli interessi sono identici agli intrecci, dove il gioco, come sempre, è sul petrolio che mascherano con un Dio che, davvero, non c’entra nulla. Qualsiasi Dio, intendo. I sequestratori, probabilmente uomini dell’Isis, (le indagini, in questi luoghi sono molto complesse) erano spariti senza lasciare nessuna traccia. Solo dopo qualche settimana il Colonello Tahar Al Garbali era riuscito a dare qualche informazione sui tecnici della ditta Bonatti. Probabilmente sono cominciate le trattative. Probabilmente si parlava di riscatto. Sono cose lunghe. E perfide. E terribili. Lo sappiamo anche noi, violentati per anni dai sequestri di persona commessi da figli della nostra terra. Abbiamo atteso nell’uscio della speranza che quegli italiani ritornassero a casa. Non erano politici, non erano attivisti, non nutrivano odio o rancore per nessuno. Lavoravano lontano da casa. Questo facevano. Non sono bastate le parole in un luogo dove pare vinca solo ed esclusivamente il sangue. Eppure, nonostante l’orrore, lo sgomento, la ferita che ci coglie quasi impreparati e ci colpisce perchè uno di loro è nato nella nostra terra, dobbiamo continuare a lottare per mettere sul tavolo della ragione popoli gonfi di odio e disperazione. Dovremmo cominciare seriamente a guardare con occhi diversi queste cartine geografiche che mutano ormai quasi quotidianamente. Oggi il dolore si prende il palcoscenico. Ma non può rimanere muto e vano. Partire dal dolore significa saper ascoltare lo sgomento di tutti: di chi è stato oppresso per troppi anni e di chi non ha la pietà per amare il silenzio del mondo. Oggi ci sentiamo un po’ più soli, ma non possiamo sentirci sconfitti. Sarebbe imperdonabile offuscare il nostro orizzonte con gli stessi obiettivi di chi ha deciso di non ascoltare. Ognuno ha i suoi tempi e le sue ragioni. Si dovrebbe, davvero, cominciare ad utilizzare una nuova strategia, un nuovo modo di affrontare certi argomenti. Si vince quando si stringono le mani. E’ chiaro che questo è il momento peggiore. Ma è anche chiaro che non possiamo stare, per la paura, con le mani in tasca o utilizzarle per una semplice vendetta. La geografia ha contorni bellissimi, lasciamo che a costruire i confini siano i fiumi e i monti. Gli uomini, quando si sono messi a disegnare gli Stati, hanno sempre pasticciato troppo. Io non so quali possano essere le ragioni per uccidere un uomo. Non credo possano esistere. E anche gli assassini non ne sanno trovare. Ho visto uomini uccidere per un metro di terra, per un bacio non dato, per un presunto torto subito. E non ho mai trovato, in nessun uomo che ha ucciso un suo simile, una giustificazione che fosse plausibile. Per questo le guerre servono forse a disegnare nuovi confini e a colorare i fiumi di sangue, ma non servono a costruire il futuro. Con le guerre non vince mai nessuno perchè qualsiasi guerra è piena del sangue di tutti. Adesso che il silenzio ci costringe a riflettere chiediamoci se tutto questo ha un senso e quali possono essere i gesti migliori per ripartire.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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