Un mio articolo di circa un anno fa, ma sempre attuale.
Eravamo a Liegi, io e Pasquale Onida, a Liegi, a un convegno organizzato dalla federazione degli emigrati sardi.
Eravamo a Liegi ed erano ancora i giorni lontani della Prima Commissione per la Lingua, quella che avrebbe prodotto il tentativo abortito di sancire la superiorità linguistica del Nord Sardegna e che aveva come sponsor politico proprio Onida, l’Assessore alla Cultura.
Io e Pasquale Onida parlavamo, appunto, di quel confine invisibile che divide la Sardegna meridionale da quella settentrionale.
E Pasquale Onida, citando un modo di dire del suo paese, Sedilo, ha detto: “Sa Sardinnia acabbat in sa falada de Paule”, sottintendendo che oltre Paulilatino cominciava l’Africa.
Per carità, non voglio suggerire che Onida condividesse quel pregiudizio!
Comunque, a scanso di equivoci, gli ho raccontato che dalle mie parti si parla, invece, di “Gabillonia”, quando ci riferisce al Cabu de susu.
Pasquale Onida non mi è sembrato molto divertito dal gioco di parole iglesiente. Non sembrava per niente divertito dallo scoprire che il razzismo tra Sardi è reciproco.
Ma come mi ha fatto notare l’altro giorno Andrea Maccis, il razzismo dei Sardi settentrionali–quando sono razzisti–è inclusivo: si sentono superiori agli altri Sardi e vogliono imporre la propria egemonia, inglobandoli in una Sardegna trasformata in una Grande Barbagia.
Il razzismo dei Sardi meridionali, invece, è esclusivo, secessionista e l’articolo che ho pubblicato ieri–quasi una parodia dei discorsi di molti “campidanesi”–illustra, estremizzandoli, sentimenti che certamente sono presenti in Cabu de jossu: http://www.vitobiolchini.it/2014/05/23/sa-natzioni-campidanesa/
I Sardi razzisti meridionali, i gabilli proprio non li vogliono in mezzo alle palle.
Da dove vengono questi razzismi speculari?
Ci vorrebbe una ricerca storico-antropologica, per appurarlo.
Io, come linguista, mi limito a constatare che per negare l’unitarietà linguistica della Sardegna, i sostenitori delle due Sardegne, sono costretti ad arrampicarsi sugli specchi.
Si veda il mio libro Le identità linguistiche dei Sardi, per un’analisi estesa dell’origine della suddivisione del sardo in “campidanese” e “logudorese”.
La storia di questa suddivisione è davvero tragicomica ed emblematica della situazione delle istituzioni culturali in Sardegna, soprattutto dell’università.
Per chi vuol farsi un’idea veloce di quali siano le differenze reali tra sardo settentrionale e meridionale, può vedersi questo articolo: Comente podimus arribbare a un’ortografia unitaria de su sardu
Come si può vedere, la differenza principale tra “logudorese” e “campidanese” è costituita dalla pronuncia delle E e O finali: cioè una differenza di si e no un millimetro nella posizione della lingua–perché tutta qui è la differenza tra le pronunce late e lati–è sufficiente per molti Sardi a giustificare la spaccatura della Sardegna linguistica.
È chiaro che la ragione non può essere quella: le differenze linguistiche esistono, ma sono limitate, sia nel lessico, che nella grammatica, che nella pronuncia.
Vedetevi pure il mio libro.
Queste differenze vengono usate per sostituire argomenti altrimenti inconfessabili, come sempre nel caso del razzismo “educato”.
Quindi vi propongo un gioco: provate a chiedere ai vostri amici e conoscenti, anche in Facebook, se ritengono più rappresentativa della Sardegna, in termini di sardità, Cagliari oppure Orgosolo e fatevi spiegare perché.
Sono sicuro che ne verranno fuori dei risultati interessanti e divertenti, ma forse anche inquietanti.
Cagliari e Orgosolo sono i due poli di una Sardegna polarizzata.
La domanda, quindi, è rivolta a quelli che credono a una Sardegna polarizzata, anche se magari non se ne rendono conto.
Ieri, parlando con un’amico che viene da un paese appena a nord di “sa falada de Paule” e che vive praticamente a Cagliari, gli ho sentito dire: “Casteddu est Napoli.”
E quest’amico è uno dei campioni della lotta alla polarizzazione della Sardegna.
Il suo giudizio non nasce per caso: è un giudizio indotto.
Ed è un giudizio gravissimo, perché riflette l’incapacità di Cagliari di proporsi come “Capitale dei Sardi”.
Ma questo giudizio–inconsciamente razzista–è anche basato sulla realtà:
La realtà è quella di Cagliari che ha rinunciato al suo legittimo ruolo di capitale culturale dei Sardi.
Per il biblico piatto di lenticchie.
La borghesia cagliaritana si è lasciata schiacciare dalla visione della Sardegna inventata da Wagner e Lilliu e ha accettato di “napoletanizzarsi”.
Oggi Cagliari si propone come capitale europea della cultura, mentre ancora non riesce ad essere capitale sarda della cultura.
Eppure la scelta dovrebbe essere facile.
Si tratta di scegliere tra una Sardegna “ferma nel tempo” inventata dagli stranieri, e sottoscritta dalla borghesia compradora, e la Sardegna da sempre al centro del Mediterraneo.
Insomma, tra la Sardegna della “costante resistenziale” montagnina, inventata da Wagner e Lilliu, o la Sardegna che ha scolpito i Giganti di Monti Pramma.
A proposito, vi risulta che Lilliu–su Babbu Mannu–abbia mai protestato per lo scandalo del Giganti sequestrati per 30 anni in un magazzino?
Immaginatevi cosa sarebbe successo se Lilliu, Accademico dei Lincei, venerato da tutti i Sardi, avesse protestato contro questo scandalo.
E sarà certamente un caso che l’importanza dei Giganti si sia “scoperta” soltanto dopo il ritiro di Lilliu dalla scena culturale sarda.
Indubbiamente, una coincidenza.
Come, naturalmente, è una coincidenza che l’immagine grandiosa della Sardegna nuragica che ci trasmettono i Giganti, sia completamente incompatibile con quella creata da Lilliu: un’isola isolata da tutti e i cui abitanti erano intenti soltanto a sbudellarsi tra di loro.
Lilliu ha dedicato il suo libro La civiltà dei Sardi ai pastori di Barbagia, perché si era inventato una Sardegna nuragica, semplicemente proiettando indietro di millenni la società barbaricina dei suoi giorni.
Quella società non avrebbe mai potuto accumulare la ricchezza necessaria a costruire migliaia di nuraghi e i Giganti di Monti Prama.
In guerra si distruggono le risorse altrui e le si accumulano in un territorio ristretto: i nuraghi, invece, sono diffusi in tutta la Sardegna.
Ergo, in tutta la Sardegna si sono accumulate le ricchezze, le riserve, necessarie a costruirli, visto che chi è intento a costruire tutti quei nuraghi deve pur mangiare.
Nella Sardegna dei Giganti, Cagliari non è più la Sodoma e Gomorra della sardità tradita–come l’ha dipinta Sergio Atzeni nel suo brutto fantasy–e definita “cultura bastarda” da Francesco Cesare Casula. Diventa semplicemente una della porte della Sardegna verso il mondo esterno, al cui centro si trova–letteralmente–la nostra isola.
Allora la scelta tra Orgosolo e Cagliari è la scelta tra una Sardegna costituita da paesi che rappresentano solo se stessi–tranne ormai che per i turisti a caccia di emozioni in noir–universi chiusi su se stessi, che ormai non esistono più, e la Sardegna che è tornata a essere quello che è sempre stata: centro del Mediterraneo.
Così come i Sardi dei paesi di montagna–ormai sempre più spopolati, oltretutto–non hanno motivo di disprezzare i Sardi aperti al mondo, i Sardi urbanizzati non hanno motivo di temere una sardità che non significa immobilità e rifiuto dei contatti con l’esterno.
Questa visione polarizzata e irreale della Sardegna ha fatto danni enormi ed è ora di relegarla al letamaio della storia.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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