Ci dicono che abbiamo perso e hanno vinto gli altri. Quelli che parlano alla gente. Come se fosse facile capirla, la gente. Come se fosse semplice trovare le ragioni di una vittoria o di una sconfitta. Un po’ come il bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno: in politica c’è sempre una giustificazione a tutto e non sarà mai autorizzato il VAR come nel calcio. Non è possibile rivedere le scelte a rallentatore perché non c’è mai un prima ma solo e soltanto un dopo. Ha vinto il popolo e ha perso l’intellettuale: quello snob, quello che osserva gli operai dalla finestra sorseggiando un caffè, quello che dice di volere l’accoglienza per tutti ma non fa entrare nessuno nella sua villa a Capalbio, quello che ha un bellissimo cane bianco e vaporoso e che fa correre la mattina molto presto sulle spiagge imbiancate della Sardegna, quello che ama tutti i prodotti Apple perché sono un must di bellezza e di creatività, quello che continua a leggere libri e sottolineare le parole. Ha vinto il popolo dunque. Quello che ama sentire il rumore forte delle parole: pochi e chiari concetti. Quello che aspetta risposte immediate ed eloquenti: un po’ il tutto e subito dei favolosi anni settanta, quello del qui ed ora, del “prima gli italiani”, della sicurezza, dell’ordine, la disciplina, la pulizia, il lavoro per tutti, soldi per tutti, fanculo l’Europa e la Cina, l’india e gli Usa. Fanculo tutti. Quelli che scrivono sui social “bisogna buttare la chiave” ad ogni notizia vera o falsa che appare sul web. Il popolo fluido ed incattivito, non più disposto a sentire discorsi complicati; il popolo felice di apprendere che per risolvere il problema della crisi economica basta stampare moneta e si chiede, quasi sgomento e irritato, perché quei maledetti politici intellettuali non ci hanno mai pensato. Già. Perché? Il popolo che ha sempre la soluzione giusta al momento giusto, il popolo quando sceglie sceglie e ha sempre ragione. E’ la democrazia bellezza. Già, è la democrazia. Come dargli torto? Abbiamo perso e hanno vinto gli altri. Con una piccola precisazione: che gli altri rappresentano la metà degli elettori. Ha vinto, infatti, l’astensionismo che può essere considerato un sacrosanto diritto democratico, ma rappresenta di gran lunga il primo partito del paese Italia e alla luce degli ultimi risultati elettorali può benissimo coniare il nuovo slogan: “prima gli astensionisti” , coloro che decidono di non decidere, di non partecipare, di non schierarsi. Sono loro quelli che hanno vinto e che raccontano storie completamente diverse e contrapposte dagli scenari politici ancora intrisi di scontri e schieramenti che, alla fine, dicono sempre la stessa cosa: abbiamo vinto e hanno perso gli altri. Smettiamo dunque di prendercela con l’avversario che ha combattuto con noi sullo stesso ring. Ha vinto il pubblico che osservava la partita. Il pubblico e non il popolo. Non mi sembra la stessa cosa, almeno concettualmente. Capisco che può sembrare noioso o ripetitivo ma è, davvero, il punto nodale su cui dovremmo cominciare a confrontarci. Dovremmo cominciare a comprendere i gusti del pubblico un po’ come si fa nelle televisioni, nei social che suggeriscono pubblicità attraverso una serie di algoritmi basati sulle nostre scelte quotidiani. Dobbiamo arrivare al pubblico osservante e lasciar perdere il popolo attivo perché chi ha votato, lasciatemelo dire, la sua scelta l’ha fatta e non importa se giusta o sbagliata solo perché non ci ha dato ragione, solo perché non ha camminato al nostro fianco. Noi non abbiamo perso perché chi vota vince sempre, sempre. Il pubblico ha perso. Quello sempre pronto ad inveire contro l’arbitro ed i giocatori: i propri e gli avversari. Il pubblico che ha osservato il popolo votante e non ha ritenuto necessario prendere una matita in mano e dire la propria. Adesso orde di sociologi ci diranno che la colpa è della politica, di chi non ha saputo intercettare il malessere degli elettori non votanti. Non è così. E’ facile, molto facile far parte del pubblico perché si ha sempre ragione. Più del cliente, più del tifoso, più del passionevole, più dell’intellettuale. Chi ha votato non ha perso perché ha scelto. E chi sceglie dimostra coraggio, quello che il pubblico osservante non ha. Se vi dicono che avete perso e hanno vinto gli altri mostrategli la vostra matita e rispondetegli: “tu che non hai votato, che non ti sei schierato, mi dici quale può essere la tua vittoria?” Quando il 50% dei partecipanti al voto rinuncia a questo diritto non può prendersela con chi questo sacrosanto diritto l’ha utilizzato. E lo ha fatto bene, benissimo. Perché ha scelto, ha colpito o ha schivato, ha pensato e riflettuto oppure non lo ha fatto. Ma ha votato. Il resto è solo semplice manicheismo utilizzato non dagli intellettuali ma da persone che ha qualche problema con il concetto della democrazia che è cosa semplice e complicata ma ha un solo dogma: la partecipazione. E chi non partecipa, chi non si schiera, non può vincere o perdere. Può solo fare lo spettatore non votante. Nient’altro.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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