Nel novembre del 2013, pochi giorni dopo la devastante alluvione, scrivevo in un articolo dal titolo “Il prossimo disastro annunciato”: “Capoterra, 1999. Villagrande, 2004. Capoterra, 2008. Olbia, 2013. Ogni 4 o 5 anni. Questa è la spaventosa regolarità con la quale la Sardegna viene colpita dalle alluvioni. Una regolarità che non lascia scampo. Questa è la peggiore che si ricordi, si dirà, almeno per numero di vittime, il che potrebbe lasciare pensare che si tratti di un evento tanto episodico quanto catastrofico. E invece no. La prossima alluvione potrebbe anche essere peggiore. Occorrerebbe spiegare, infatti, a chi, soprattutto amministratori e politici, si affannano a dichiarare l’eccezionalità dell’evento, di modo che le responsabilità politiche vengano offuscate dal destino cinico e baro, che, in realtà, non si tratta di eccezione, ma di una crescita negativa del fenomeno, dovuta ad una progressiva antropizzazione del territorio alla quale si unisce l’incognita sempre più concreta, invero, dei cambiamenti climatici. E’ quindi il peggioramento progressivo dei due fattori, l’uno climatico, l’altro nella gestione del territorio locale, che crea un allineamento di cause congiunte dall’effetto devastante. “ Da bambino mi soffermavo a guardare due targhe, poste nella centrale via Nazionale di Quartucciu, nel basso Campidano, che documentano due alluvioni ottocentesche. Erano due targhe poste in alto, sopra le teste delle persone. Le targhe mostravano l’eccezionalità storica dei due avvenimenti. Ora, guardate la foto. E’ una casa alluvionata di Olbia. Noterete tre tonalità di colore sullo sfondo grigio chiaro. La linea più in alto, sbiadita, è il segno del livello dell’acqua del 2013. Poi, circa a metà, vi sono due linee, tutt’e due relative all’alluvione di questi giorni, 2015. Le due linee documentano una sorta di tregua della pioggia, con una successiva ondata causata dalle precipitazioni che hanno ripreso vigore o, come qualcuno insiste, dall’ondata creata dall’abbattimento del “ponte della vergogna” che faceva da tappo sul rio Siligheddu. Non sono targhe storiche, sono i segni tristi delle tragedie, e documentano la terribile successione delle alluvioni, una appresso all’altra, nel giro di pochi anni. Credo che non sia finita. Credo, se non cambierà qualcosa al più presto, che ci dovremo abituare a queste tragedie, a Olbia e non solo. E non lo dico per pessimismo. Lo dico perché è sempre più evidente che l’evento della Storia, l’alluvione da ricordare con una targa a futura e imperitura memoria, oggi non è altro che un segno sbiadito sul muro, da farci i paragoni a distanza di pochi anni. Temo che le alluvioni possano diventare una costante della nostra vita quotidiana. E’ il passaggio dalla Storia alla quotidianità. Quest’anno la temperatura dell’acqua nel Mare Mediterraneo è molto alta, a causa di una estate calda e siccitosa. Questo fenomeno, causato dai cambiamenti climatici prodotti dall’uomo, provoca inevitabilmente delle turbolenze che vengono alimentate dall’evaporazione. Sono dei mostri, dei cicloni che sorvolando il mare si caricano spaventosamente di energia, che poi scaricano appena vedono terra. Il territorio di Olbia è saturo di costruzioni, di asfalto e cemento, come se non bastassero le trasformazioni ecologiche di un territorio fin dall’800 interessato da disboscamenti e incendi. Il suolo, le campagne attorno Olbia hanno perso la loro funzione di regimazione delle acque, sono una sorta di porto franco dove i torrenti sono liberi di tracimare e inondare ovunque. Ma non solo Olbia, anche Arzachena, Santa Teresa, Golfo Aranci ed in altri centri della Sardegna, come Capoterra. A Palau la scuola elementare è completamente invasa dall’acqua. Olbia, Arzachena ed altri comuni, specie della Gallura costiera, sono quelli che in questi anni si sono resi paladini dello sviluppo economico fondato sull’edilizia costiera, sul liberismo urbanistico, sull’assenza di regole nel territorio. Tra gli articoli che scrissi, in quei tristi giorni del novembre del 2013, ve ne fu uno dal titolo “Nulla accade per caso”. Penso che non vi sia da aggiungere altro.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo.
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