Il giovane migrante che tenta note incerte col violino a due passi dal cordone di polizia. Artificio? O note che trovano vie nel reticolato di muri. Non è un caso che i riti, le cerimonie che commuovono e ci danno l’illusione di momenti di unità profonda, traggono la loro forza dalla musica Guardando, nei giorni scorsi, l’immagine del giovane migrante che suona il violino. L’avrete visto in molti. E’ a pochi chilometri dal confine con la Grecia, bloccato dalla polizia turca insieme ad altre migliaia di profughi. L’avrete sentito. A due passi dal cordone di polizia tenta note incerte. Ma è Vivaldi, la Primavera. Che subito si riconosce… Poco prima, o poco dopo, leggendo di altra musica. Del coro di bambini, questa volta, fra i grandi in attesa dell’apertura di un varco per la Slovenia. E trascinano tutti in un unico grido… Qua e là, per le vie del web che a tutto ci sembrano autorizzare, alcuni commenti infastiditi. “Sceneggiate”, costruite ad arte, soffia qualcuno. Qua e là, ancora, parole, che sembrano nutrite di ferocia. Eppure, eppure… Forse è solo paura. E non della folla di persone che preme per passare, che chissà che verrà a fare. Ma paura della musica. Paura, vien da pensare, delle note che sono lì a bussare sui confini. Perché? Perché è difficile difendersi dalla forza ancestrale del linguaggio musicale… Già. Sapete, cosmologie arcaiche narrano che l’uomo è nato dal suono. Da un soffio, da un canto, da una melodia, da un flauto di bambù, da un battito di tamburo… E un canto e un controcanto hanno dato origine all’umanità. E se l’uomo è nato dal suono, la sua essenza sempre rimarrà sonora. Tutto il resto sono orpelli del mondo materiale che l’anima vera un po’ camuffa, se, per dirla con Schneider, “la realtà dei sensi impedisce alla maggior parte dei mortali di riconoscere l’essenza sonora e luminosa della realtà metafisica”. E questi suoni contemporanei intonati ai confini, le note del violino, il coro di piccole voci, sembrano inconsapevole, istintivo richiamo a quell’essenza sonora, profonda e luminosa. Nel cui linguaggio riconoscersi e ritrovare unità. Note che trovino vie, nel reticolato di muri che nel tempo della storia sono stati costruiti. E come difendere le nostre storie frantumate e così ben divise e protette fra confini, da quel richiamo, dal contatto con l’essenza profonda di noi che non sappiamo più riconoscere, né gestire? Eppure, eppure… Non sarà un caso che i riti, le cerimonie che tanto ci commuovono e ci danno l’illusione di momenti di unità profonda, traggano la loro efficacia, la loro forza dalla musica. Ricordate Rostropovich? Corso sotto il muro infranto di Berlino con il suo violoncello. A sanare con la musica quella cicatrice sul cuore che era stato per lui, ha poi detto, il muro di Berlino. E scelse Bach, musica assoluta. Ho letto che disse allora Rostropovich “Non sono andato a Berlino a suonare per la gente, sono andato lì a suonare affinché Dio mi ascoltasse, direttamente dal Muro di Berlino. Una specie di preghiera di ringraziamento a Dio. E davvero, dopo quel giorno, le mie due vite si sono riunite”. Musicisti, come sacerdoti, come sciamani, in contatto diretto col divino. Le mitologie attribuiscono loro nascite straordinarie. I primi nove musicisti, sapete?, furono vomitati dal canto dei vulcani, E come l’esplosione di un vulcano, ricordate?, è stato il concerto sulla porta di Brandeburgo, poco dopo la caduta di quel muro. The Wall… e ancora si sbriciolano emozioni. Per cercare il suo varco il giovane violinista sul confine della Grecia ha scelto la Primavera di Vivaldi, che è suono del risveglio della terra. Lo stesso brano lo suonava, lo incontravo spesso fra una corsa e l’altra della metropolitana, un piuttosto maturo violinista zingaro, lì a raccattare un po’ di quattrini. Bravissimo lui, davvero. Anche lui, lì a cercare di parlare all’essenza sonora di ciascuno di noi, per farsi da noi riconoscere. Anche lì, sulla metropolitana, qualcuno che si commuoveva, qualcun altro che s’irritava… perché, l’avete letto anche voi immagino, Tolstoj, la sua ‘Sonata a Kreutzer’: “dicono che la musica abbia per effetto di elevare l’anima. Sciocchezze, non è vero. Non la eleva né l’abbassa. Agisce, agisce tremendamente…”. Esasperando infine l’anima, e ognuno si esaspera nel bene o nel male, nella direzione che sa… Mi piacerebbe sapere che fine ha fatto il giovane musicista sul confine, e in che direzione la sua musica abbia spinto gli animi lì intorno. Se il suo incerto suono abbia infine infranto un muro, riallacciando parole, con l’essenza profonda delle persone di là dalla barriera.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Il viale dell’Asinara. (di Giampaolo Cassitta)
Don Puglisi e la mafia. (di Giampaolo Cassitta)
Temo le balle più dei cannoni (di Cosimo Filigheddu)
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Sanremo non esiste (di Francesco Giorgioni)
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Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
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Morto per un infarto Gianni Olandi, storico corrispondente da Alghero della Nuova Sardegna (di Gibi Puggioni)
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